CLIVE BARKER
LA CASA DELLE VACANZE
(The Thief of Always, 1992)
Harvey, mezzodivorato
Febbraio, la grande bestia grigia, si era mangiato vivo Harvey Swick. E lui ora era lì, sepolto nello stomaco di quel mese opprimente, e si chiedeva se sarebbe mai riuscito a trovare una via d'uscita tra le fredde viscere che si estendevano da lì a Pasqua.
Non aveva molta fiducia nelle sue possibilità. Era più probabile che, trascinandosi lungo le ore di quella giornata, finisse per annoiarsi tanto da dimenticarsi di respirare. Poi, forse, la gente si sarebbe chiesta come mai «un così bel fanciullo fosse morto nel fiore della giovinezza». Quella morte sarebbe diventata un grande mistero, che sarebbe rimasto insoluto finché qualche celebre investigatore avesse deciso di ricostruire un giorno la vita di Harvey.
Allora, e solo allora, la triste verità sarebbe venuta alla luce. L'investigatore avrebbe dapprima ripercorso l'itinerario che Harvey faceva tutte le mattine per andare a scuola, passando attraverso un dedalo di stradine anguste. Poi si sarebbe seduto al banco di Harvey e avrebbe ascoltato lo sconfortante ronzio dell'insegnante di storia e di quello di scienze, meravigliandosi che l'eroico fanciullo fosse riuscito a tenere gli occhi aperti. E, infine, mentre la giornata ormai logora si dissolveva nel crepuscolo, l'investigatore avrebbe ripercorso a ritroso la strada verso casa e, quando avesse posto il piede sullo scalino da cui si era messo in cammino la mattina, e la gente gli avesse chiesto -perché glielo avrebbe chiesto - perché mai un'anima buona come Harvey fosse morta, avrebbe scosso la testa mormorando:
«È molto semplice.»
«Oh!» avrebbe esclamato la folla incuriosita. «Ci racconti.»
E allora, asciugandosi una lacrima, l'investigatore avrebbe risposto:
«Harvey Swick è stato mangiato da Febbraio, la grande bestia grigia.»
Era un mese mostruoso, su questo non c'erano dubbi; un mese terribile e tetro. I piaceri del Natale, saporiti e dolci, stavano già svanendo nei ricordi di Harvey, e la promessa dell'estate era tanto remota da parere mitica. Ci sarebbe stato un intervallo primaverile, certo, ma quanto distava ancora? Cinque settimane? Sei? La matematica non era il suo forte, sicché preferì non tormentarsi ulteriormente nel tentativo - destinato a fallire - di contare i giorni. Di sicuro, Harvey sapeva che, ben prima che il sole venisse a salvarlo, lui sarebbe già marcito nel ventre della bestia.
«Non dovresti perdere il tuo tempo a star seduto qui,» gli disse la mamma quando lo colse a guardare le gocce che si rincorrevano sul vetro della finestra della sua cameretta.
«Non ho niente di meglio da fare,» rispose Harvey senza neppure voltarsi.
«Bene, allora potresti renderti utile,» ribatté la mamma.
Harvey alzò le spalle. Utile? Era un altro modo di dire «lavoro faticoso». Saltò in piedi sciorinando le sue scuse - non aveva fatto questo, non aveva fatto quello - ma era troppo tardi.
«Potresti cominciare a mettere in ordine questa stanza,» disse la mamma.
«Ma...»
«Non sederti a desiderare che il giorno passi, mio caro. La vita è troppo breve.»
«Ma...»
«Ecco, così fa un bravo ragazzo.»
E, ciò detto, lo lasciò a quell'incarico. Borbottando tra sé e sé, Harvey si guardò intorno. La camera non era neanche in disordine. C'erano uno o due giochi sparsi in giro; uno o due cassetti erano aperti; qualche vestito appeso fuori dell'armadio. Insomma era tutto a posto.
«Ho dieci anni,» disse tra sé (dato che non aveva fratelli o sorelle, passava molto tempo a parlare da solo). «Voglio dire, non è come se fossi un bambino. Non sono obbligato a mettere in ordine solo perché lei dice di farlo. Che noia!»
Non mormorava più, ora, ma parlava a voce alta.
«Voglio... voglio...» Si mise davanti allo specchio e lo interrogò. «Cosa voglio davvero?» Il ragazzo dai capelli gialli, il naso schiacciato e gli occhi marroni che vide davanti a sé scosse la testa. «Non so cosa voglio,» rispose. «So solo che morirò se non mi divertirò un po'. Sì, è vero! Morirò!»
Mentre parlava, una finestra tremò. Una raffica di vento si abbatté con forza contro di essa - e poi un'altra, e una terza, e anche se Harvey non ricordava che fosse soltanto socchiusa, la finestra si spalancò improvvisamente. La pioggia fredda gli investì il viso. Tenendo gli occhi socchiusi, Harvey attraversò la stanza e cercò maldestramente di richiudere la finestra, assicurandosi stavolta che la serratura fosse chiusa bene.
Il vento aveva fatto oscillare il lampadario, e quando si voltò, Harvey vide tutta la camera che sembrava girare in tondo. Ora la luce lo abbagliava, ora inondava il muro di fronte. Ma, tra un abbaglio e un'inondazione, la luce illuminava il centro della stanza e, lì in piedi, intento a scrollarsi la pioggia dal cappello, c'era ora un estraneo.
Sembrava abbastanza inoffensivo. Sarà stato quindici centimetri più alto di Harvey: non molto. Il viso ossuto, la pelle di un colore decisamente giallognolo. Indossava un abito stravagante, un paio di occhiali e un ampio sorriso.
«Tu chi sei?» domandò Harvey, chiedendosi come poteva fare a guadagnare la porta aggirando l'intruso.
«Non essere nervoso,» disse per tutta risposta l'uomo, sfilandosi uno dei suoi guanti di pelle scamosciata, afferrando la mano di Harvey e stringendola vigorosamente. «Mi chiamo Rictus. Tu sei Harvey Swick, non è vero?»
«Sì...»
«Per un momento ho temuto di aver sbagliato casa.»
Harvey non riusciva a staccare gli occhi dal sorriso di Rictus. Era grande abbastanza da far arrossire un pescecane, con due file perfette di denti smaglianti.
Rictus si tolse gli occhiali, prese un fazzoletto dalla tasca della sua giacca zuppa d'acqua e cominciò ad asciugarsi le lenti. Da lui o dal suo fazzoletto proveniva un odore che era tutto fuorché gradevole. In effetti, anzi, era proprio disgustoso.
«Vedo che hai qualche domanda da fare,» disse Rictus.
«Già.»
«Su, chiedi. Non ho nulla da nascondere.»
«Bene: innanzi tutto come hai fatto a entrare?»
«Dalla finestra, ovviamente.»
«È distante dalla strada.»
«Non se voli.»
«Voli?»
«Ovviamente. Come farei, altrimenti, ad andare in giro in una sera buia e tempestosa come questa? O così o con un canotto. Noi piccoletti dobbiamo stare molto attenti quando piove in questo modo. Un passo falso e ti ritrovi a mollo.» Scrutò Harvey interrogativamente. «Tu nuoti?»
«In estate, qualche volta,» rispose Harvey, che però voleva tornare a parlare della faccenda del volo.
Ma Rictus deviò la conversazione in tutt'altra direzione. «Nelle sere come questa,» disse, «sembra che non ci sarà mai più un'altra estate, vero?»
«Proprio così,» rispose Harvey.
«Sai, ti ho sentito sospirare a più di un chilometro di distanza e mi sono detto: "Qua c'è un ragazzo che ha bisogno di una vacanza."» Consultò il suo orologio. «Se hai tempo, eccomi qua.»
«Tempo?»
«Per un viaggio, ragazzo, un viaggio. Hai bisogno di un'avventura, giovane Swick. Da qualche parte... fuori da questo mondo.»
«Come hai fatto a sentirmi sospirare a più di un chilometro di distanza?» volle sapere Harvey.
«E che te ne importa? Ti ho sentito. Questo è quel che conta.»
«È una specie di magia?»
«Forse.»
«Perché non me la vuoi raccontare?»
Rictus scoccò un'occhiatina luminosa a Harvey. «Penso che tu sia troppo curioso, per il tuo stesso bene; ecco perché,» rispose, mentre il sorriso gli si smorzava un poco. «Se non vuoi il mio aiuto, per me fa lo stesso.»
Fece l'atto di dirigersi verso la finestra. Il vento continuava a far tremare i vetri, quasi fosse ansioso di rientrare per riprendersi il suo passeggero.
«Aspetta!» esclamò Harvey.
«Che cosa?»
«Scusami. Non farò altre domande.»
Rictus si fermò, con una mano sulla maniglia. «Basta domande, eh?»
«Prometto,» rispose Harvey. «Te l'ho detto: scusami.»
«L'hai detto, l'hai detto.» Rictus guardò fuori verso la pioggia. «Io conosco un posto in cui i giorni sono sempre pieni di sole,» disse, «e le notti piene di meraviglie.»
«Mi ci puoi portare?»
«Abbiamo detto niente domande, ragazzo. Eravamo d'accordo.»
«Oh, già. Scusami.»
«Dato che sono una persona pronta al perdono, dimenticherò che hai parlato e ti dirò questo: se vuoi che faccia una ricerca a tuo nome, potrò vedere se c'è posto per un altro ospite.»
«Mi piacerebbe.»
«Non ti garantisco niente,» aggiunse Rictus, girando la maniglia.
«Capisco.»
Un'improvvisa folata di vento spalancò completamente la finestra. Il lampadario ricominciò a ondeggiare paurosamente.
«Aspettami,» gridò Rictus per superare il frastuono della pioggia e del vento.
Harvey stava per chiedergli se sarebbe tornato presto, ma si fermò appena in tempo.
«Niente domande, ragazzo!» ripeté Rictus, mentre il vento sembrò gonfiargli l'impermeabile che cominciò ad avvolgerlo come una mongolfiera nera. Rictus fu improvvisamente trascinato via dal davanzale.
«Le domande fanno male al cervello!» gridò verso Harvey mentre se ne volava via. «Tieni la bocca chiusa, e vedremo che cosa troverai sulla tua strada!»
E dopo queste ultime parole, fu portato via dal vento, mentre il pallone del suo impermeabile sorgeva come una luna nera sul cielo piovoso.
La strada nascosta
Harvey non disse nulla di quella strana visita, né a mamma né a papà: c'era il rischio che mettessero dei lucchetti alle finestre per impedire a Rictus di rientrare in casa. Ma c'era un problema in tutta quella segretezza: dopo qualche giorno, infatti, Harvey cominciò a chiedersi se per caso non si fosse immaginato tutta la faccenda. Forse si era addormentato davanti alla finestra, pensò, e Rictus era stato solo un sogno.
Però continuò a sperare. «Aspettami,» aveva detto Rictus, e Harvey fu di parola. Lo aspettò dietro la finestra della sua stanza. Lo aspettò nel suo banco di scuola. Lo aspettò persino con un occhio solo quando, di notte, poggiava la testa sul suo cuscino. Ma Rictus non si fece vedere.
Finché, una settimana dopo la prima visita, proprio mentre la speranza di Harvey si stava dissolvendo, la sua attesa fu ricompensata. Sulla strada per andare a scuola, un nebbioso mattino, udì una voce sopra di sé, e quando alzò gli occhi, vide Rictus che scendeva ondeggiando dalle nubi con l'impermeabile talmente gonfio di aria da farlo sembrare più grasso di un porcello da esposizione.
«Come va?» salutò mentre atterrava.
«Stavo cominciando a pensare di averti inventato,» rispose Harvey. «Sai, come un sogno.»
«Me lo dicono in tanti,» convenne Rictus, con il sorriso più largo che mai. «Specialmente le signore. "Sei un sogno che si avvera", dicono.» Strizzò l'occhio. «E chi sono io per controbattere? Ti piacciono le mie scarpe?»
Harvey abbassò gli occhi verso le scarpe azzurre di Rictus. Erano davvero uno spettacolo e glielo disse.
«Me le ha date il capo,» disse Rictus. «È molto contento che tu venga a farci visita. Allora, sei pronto?»
«Be'...»
«Non c'è tempo da perdere,» incalzò Rictus. «Domani potrebbe non esserci più posto per te.»
«Posso fare almeno una domanda?»
«Pensavo che fossimo d'accordo...»
«Lo so. Ma solo una.»
«D'accordo. Una.»
«Questo posto è lontano da qui?»
«No... È giusto dall'altra parte della città.»
«Insomma, perderei soltanto un paio d'ore di scuola?»
«Così sono due domande,» ribatté Rictus.
«No, no. Sto solo pensando ad alta voce.»
Rictus grugnì. «Senti,» disse. «Non ho nessuna intenzione di mettermi a cantare e a ballare per convincerti. Ho un amico che si chiama Twist che lo farebbe. Ma io sono solo uno a cui piace sorridere. Io sorrido e dico: venite con me nella Casa delle Vacanze, e se la gente non vuole venire...» Si strinse nelle spalle. «Ehi, tanto peggio per loro.»
Ciò detto voltò le spalle a Harvey.
«Aspetta!» esclamò Harvey. «Io voglio venire. Ma solo per un po'.»
«Puoi rimanere tutto il tempo che vuoi,» rispose Rictus. «O anche meno. Voglio soltanto toglierti quell'aria da funerale dalla faccia e metterci al suo posto uno di questi.» Il suo sorriso si fece ancora più ampio. «È forse un delitto?»
«No,» dichiarò Harvey. «Non è un delitto. Sono felice che tu mi abbia trovato. Davvero.»
Cosa importava anche se fosse stato via tutta la mattina, pensò. Non sarebbe stata una gran perdita. E forse anche un'ora o due nel pomeriggio. Bastava essere di ritorno a casa per le tre. O le quattro. Di sicuro prima che facesse buio.
«Sono pronto a partire,» disse a Rictus. «Fammi strada.»
Millsap, la città in cui Harvey viveva da quando era nato, non era molto grande, e lui pensava di averla visitata tutta. Ma presto si lasciò alle spalle tutte le strade che conosceva e, benché Rictus procedesse con passo svelto, Harvey si premurò di farsi un elenco mentale di punti di riferimento, nel caso che avesse dovuto ritrovare da solo la strada per tornare a casa. Un negozio di macellaio con due teste di maiale appese a dei ganci; una chiesa con un prato dietro pieno di tombe; la statua di un qualche generale morto, coperta dal cappello alle staffe di cacca di piccione: registrò e mise da parte nella memoria questi e molti altri luoghi.
E mentre camminavano, da Rictus continuava a sgorgare un torrente di chiacchiere oziose.
«Odio la nebbia! Io la odio e basta!» esclamava. «E ci sarà pioggia fino a mezzogiorno. Ma noi, fortunatamente, saremo fuori di qui...» Continuò a parlare della pioggia e dello stato delle strade. «Guarda questa spazzatura: ingombra tutto il marciapiede. È vergognoso! E il fango? Sta riducendo a un bel disastro le mie scarpe.»
Aveva molto altro da dire, ma niente di quanto dicesse era veramente illuminante sicché, dopo un po', Harvey smise di stare ad ascoltare. Quanto distava questa Casa delle Vacanze, cominciò a chiedersi. La nebbia lo faceva rabbrividire e le gambe gli facevano male. Se non fossero arrivati di lì a poco, aveva tutte le intenzioni di tornare indietro.
«So a cosa stai pensando,» disse Rictus.
«Scommetto di no.»
«Stai pensando che tutto questo è un trucco. Stai pensando che Rictus ti sta portando in un giro misterioso in fondo al quale non c'è niente. Non è forse vero?»
«Forse, un po'.»
«Bene, ragazzo mio, ho buone notizie per te. Guarda avanti.»
Fece un segno con il dito e in quella direzione, non molto lontano dal punto in cui si erano fermati, c'era un alto muro, così lungo da scomparire nella nebbia a destra e a sinistra.
«Che cosa vedi?» chiese Rictus.
«Un muro,» rispose Harvey, anche se, più lo guardava, meno si sentiva sicuro che lo fosse. Le pietre, abbastanza solide a prima vista, ora sembravano muoversi e ondeggiare, quasi fossero state intagliate nella nebbia e sovrapposte in quel modo per tenere lontani sguardi curiosi.
«Sembra un muro,» si corresse Harvey, «ma non è un muro.»
«Sei molto perspicace,» convenne Rictus con ammirazione. «La maggior parte della gente non vede altro che una strada a fondo cieco, in quel punto, e così voltano le spalle e prendono un'altra direzione.»
«Ma non noi.»
«No, non noi. Noi continueremo a camminare. E sai perché?»
«Perché la Casa delle Vacanze è dall'altra parte?»
«Ma sei un ragazzo mi-ra-co-lo-so!» esclamò Rictus. «È esattamente così. E, a proposito, hai fame?»
«Muoio.»
«Bene, la donna che ti sta aspettando nella Casa si chiama Mrs Griffin e, detto tra noi, è la più grande cuoca al mondo. Lo giuro sulla tomba del mio sarto. Tutto quello che puoi sognare di mangiare, lei è in grado di cucinartelo. Non devi far altro che chiedere. Le sue uova alla brace...» Fece schioccare le labbra. «Una perfezione.»
«Non vedo il cancello,» disse Harvey.
«Perché non c'è.»
«E come faremo a entrare, allora?»
«Camminando e basta.»
Un po' per fame, un po' per curiosità, Harvey fece come gli aveva detto Rictus e, quando arrivò a neppure tre passi dal muro, un refolo di venticello balsamico, profumato di fiori, filtrò attraverso le pietre baluginanti e lo baciò sulla guancia. Il calore di quel venticello fu il benvenuto dopo quella lunga camminata al freddo e Harvey affrettò il passo, stendendo un braccio per toccare il muro mentre gli si avvicinava. Le rocce umide sembrarono, a loro volta, venirgli incontro, cingendogli le spalle con le loro morbide braccia grigie e introducendolo nel muro.
Harvey si guardò indietro, ma la strada da cui era appena provenuto, con i suoi marciapiedi grigi e le grigie nubi era già scomparsa. Sotto i suoi piedi, l'erba era alta e ricca di fiori. Sopra la sua testa, il cielo era di un blu estivo. E, davanti a lui, sulla sommità di un lungo declivio, c'era una Casa che, di sicuro, prima di venir costruita, doveva essere stata immaginata in un sogno.
Harvey non aspettò di vedere Rictus dietro di sé, né indugiò a chiedersi come Febbraio, la grande bestia grigia, avesse potuto essere ucciso e al suo posto fosse sorto il calore di quella giornata. Scoppiò semplicemente in una grande risata di cui Rictus sarebbe stato orgoglioso e si mise a correre, risalendo la collina verso la grande ombra della Casa dei Sogni.
Il piacere e il verme
Che bello dev'essere stato, pensò Harvey, costruire una casa come questa. Gettare le sue fondamenta nel profondo della terra; metterne in posa i pavimenti; innalzarne le pareti; poter dire: ecco, qui non c'era nulla, ma io ho costruito una casa. Questo sì che sarebbe bello!
Eppure quella casa così bella non si pavoneggiava. Non c'erano scalinate di marmo, né colonne scanalate. Era una casa orgogliosa, certo, ma in quell'orgoglio non c'era nulla di riprovevole; infatti la casa aveva molto di cui essere orgogliosa. Era alta quattro piani ed esibiva più finestre di quante Harvey potesse contare. Aveva un ampio portico e c'erano scalini a condurre alla porta di legno intagliato dell'ingresso; il tetto di ardesia era ripido e coronato di grandiosi comignoli e di parafulmini.
Ma nel punto più alto del tetto non c'era né un comignolo né un parafulmine, bensì una grande ed elaborata banderuola segnavento che Harvey stava contemplando quando udì aprirsi la porta d'ingresso e una voce che diceva:
«Harvey Swick, non puoi essere che tu quant'è vero che respiro!»
Harvey abbassò gli occhi - con la banderuola che ancora persisteva nel suo sguardo - e, nel bel mezzo del portico, vide una donna che avrebbe fatto sembrare sua nonna (la persona più vecchia che conoscesse) una giovincella. Il suo viso sembrava una matassa di ragnatele intorno a cui i capelli - anch'essi forse opera di un ragno - ricadevano in disordinata abbondanza di ciocche. Aveva gli occhi piccoli, la bocca serrata, le mani nodose. Ma la sua voce era melodiosa e le sue parole furono di benvenuto.
«Ho pensato che potevi aver deciso di non venire,» disse, mentre sollevava dagli scalini un canestro di fiori freschi appena colti, «e sarebbe stato un peccato. Su, entra! C'è da mangiare in tavola. Devi essere affamato.»
«Non posso fermarmi troppo a lungo,» si schermì subito Harvey.
«Devi fare solo quello che desideri,» giunse pronta la risposta. «E, a proposito: io sono Mrs Griffin.»
«Sì, Rictus mi ha parlato di lei.»
«Spero che non abbia afflitto troppo le tue orecchie. Ama molto il suono della sua voce. E la sua immagine riflessa.»
Harvey, dopo aver salito le scale del portico, si era arrestato davanti alla porta aperta. Era il momento di decidere, lo capiva, anche se non era sicuro del perché.
«Entra, dunque,» lo incitò Mrs Griffin, scostando una ragnatela dalla sua fronte rugosa.
Ma Harvey esitava ancora, e forse avrebbe fatto dietro-front senza mai varcare la soglia della Casa se non avesse udito la voce di un ragazzo che gridava:
«L'ho preso! L'ho preso!» seguita da una risata scrosciante.
«Wendell!» Mrs Griffin alzò la voce. «Stai di nuovo dando la caccia ai gatti?»
La risata diventava sempre più sonora e allegra, e spinse Harvey a varcare la soglia e ad entrare nella Casa proprio per la curiosità di vedere la faccia del suo «proprietario».
Riuscì a dargli solo un'occhiata. Una buffa faccia occhialuta comparve per un istante dall'altra parte del corridoio. Ma subito un gatto pezzato sfrecciò sotto le gambe del ragazzo, che immediatamente si gettò all'inseguimento, gridando e ridendo.
«È proprio matto, quel figliolo,» disse Mrs Griffin, «ma tutti i gatti gli vogliono bene.»
L'interno della Casa era anche più avvincente della sua facciata. Persino nel breve tratto che separava l'ingresso dalla cucina, Harvey poté vedere abbastanza per comprendere che quello era un luogo fatto per i giochi, le cacce, le avventure. Un dedalo in cui nessuna porta era eguale all'altra. Una Casa del Tesoro in cui famosi pirati avevano nascosto un bottino macchiato di sangue. Un luogo di svago per tappeti popolati di folletti, e per arche varate ben prima del Diluvio, in cui giacevano intrappolate uova di animali ormai estinti dalla faccia della terra, in attesa che il calore del sole le schiudesse.
«E perfetto!» mormorò tra sé Harvey.
Mrs Griffin colse al volo il suo sussurro e «Nulla è perfetto,» replicò.
«Perché no?»
«Perché il tempo passa,» rispose osservando i fiori che aveva reciso, «e lo scarabeo e il verme penetrano, prima o poi, in ogni cosa.»
A queste parole, Harvey si chiese quali dolori dovesse aver conosciuto Mrs Griffin per diventare tanto amara.
«Scusami,» disse la signora, nascondendo la sua malinconia sotto un lieve sorriso. «Non sei venuto qui per stare a sentire le mie litanie. Sei venuto a divertirti, non è vero?»
«Penso di sì,» rispose Harvey.
«E allora, lascia che ti tenti con qualcosa di piacevole.»
Harvey si sedette al tavolo della cucina e, tempo un minuto, Mrs Griffin imbandì dinanzi a lui decine di piatti succulenti: hamburger, panini con il wurstel, patatine fritte, montagne di patate al cartoccio spalmate di burro; torte al cioccolato, di mele e di ciliegie; gelati e panna montata; uva, mandarini e cesti di frutta di cui Harvey non conosceva neppure il nome.
Si sedette e mangiò con gusto, e aveva già attaccato la sua seconda fetta di torta, quando vide incedere lentamente verso di lui una ragazza dal viso coperto di lentiggini, dai lunghi capelli ricci e biondi e dai grandi occhi verde smeraldo.
«Tu devi essere Harvey,» disse.
«Come fai a saperlo?»
«Me l'ha detto Wendell.»
«E come fa a saperlo lui?»
La ragazza alzò le spalle. «L'ha sentito. A proposito, io sono Lulù.»
«Sei appena arrivata?»
«No, sono qui da secoli. Da prima di Wendell. Ma non da tanto quanto Mrs Griffin. Nessuno è venuto qui prima di lei. Non è vero?»
«Più o meno,» rispose Mrs Griffin con un'aria un po' misteriosa. «Vuoi qualcosa da mangiare, dolcezza?»
Lulù scosse la testa. «No, grazie. Non ho molto appetito in questo momento.»
Ciononostante, Lulù sedette di fronte a Harvey, affondò il pollice nel budino di cioccolato e se lo leccò fino a ripulirlo perfettamente.
«Chi ti ha invitato qui?» chiese a Harvey.
«Un tale di nome Rictus.»
«Ah, sì. E quello con il sorriso tutto denti?»
«È lui.»
«Ha anche una sorella e due fratelli,» continuò Lulù.
«Li hai conosciuti?»
«Non tutti,» rispose Lulù. «Stanno molto per conto loro. Ma ne incontrerai uno o due prima o poi.»
«Io... io non credo che mi tratterrò,» ripeté Harvey. «Sai, la mia mamma e il mio papà non sanno neanche che sono qui.»
«Ma certo che lo sanno!» ribatté Lulù. «Magari non te ne hanno parlato.» Harvey era confuso e glielo disse. «Chiamali, allora,» gli suggerì la ragazza, «e chiediglielo.»
«Posso davvero?» chiese Harvey.
«Certo che puoi,» gli rispose Mrs Griffin. «Il telefono è nel corridoio.»
Harvey, senza trascurare di portarsi dietro un cucchiaio pieno di gelato, andò al telefono e compose il numero di casa sua. Dapprima si udì un sibilo, quasi che i fili del telefono fossero pieni di vento. Poi, dissoltosi il sibilo, si udì la voce della mamma che rispondeva al telefono:
«Pronto, chi parla?»
«Prima che tu ti metta a urlare...» cominciò Harvey.
«Oh, ciao tesoro!» esclamò la mamma. «Sei arrivato?»
«Arrivato?»
«Sei nella Casa delle Vacanze, spero.»
«Sì, sono qui. Però...»
«Ah, bene. Ero preoccupata che tu potessi aver perso la strada. Ti piace?»
«Tu sapevi che stavo venendo qui?» chiese Harvey, guardando con la coda dell'occhio Lulù.
"Te l'avevo detto," disse la ragazza muovendo la bocca ma senza emettere suoni.
«Ma certo che lo sapevamo,» continuò la mamma. «Siamo stati noi a invitare il signor Rictus a mostrarti il luogo. Avevi un'aria così abbattuta, povero agnellino. Abbiamo pensato che ti ci volesse un po' di divertimento.»
«Dici davvero?» esclamò Harvey, stupefatto dal volgere degli eventi.
«Vogliamo soltanto che tu ti diverta,» continuò la mamma. «Puoi restare tutto il tempo che vuoi.»
«E la scuola?»
«Ti meriti un po' di pausa,» fu la risposta. «Non preoccuparti di nulla. Pensa solo a divertirti.»
«D'accordo, mamma.»
«Ciao, tesoro.»
«Ciao.»
Harvey riattaccò il ricevitore mentre scuoteva incredulo la testa.
«Avevi ragione,» disse a Lulù. «Hanno organizzato tutto loro.»
«E allora, non sentirti in colpa,» lo incitò Lulù. «Be', ci vediamo in giro più tardi, eh?»
E, dette queste parole, se ne andò via lentamente com'era venuta.
«Se hai finito di mangiare,» disse allora Mrs Griffin, «ti mostro la tua stanza.»
«Mi piacerebbe.»
Mrs Griffin scortò Harvey al piano di sopra. Prima di arrivarvi, sull'ammezzato, a crogiolarsi su un davanzale inondato dal sole, videro un gatto il cui mantello aveva il colore del cielo limpido.
«Questi è Grisù,» disse Mrs Griffin. «Hai già visto Cuscus che giocava con Wendell. Non so dove sia Vudu, ma sarà lui a trovarti. Gli piacciono i nuovi ospiti.»
«C'è molta gente che viene qui?»
«Solo ragazzi. Ragazzi molto speciali come te, Lulù e Wendell. Mr Hood non accoglierebbe gente qualsiasi.»
«Chi è Mr Hood?»
«L'uomo che ha costruito la Casa delle Vacanze,» rispose Mrs Griffin.
«Conoscerò anche lui?»
Questa domanda sembrò contrariare Mrs Griffin. «Forse,» rispose distogliendo lo sguardo. «Ma è un uomo molto riservato.»
Ormai erano giunti al piano, e Mrs Griffin, passando di fianco a una fila di ritratti, condusse Harvey a una stanza sul retro della Casa. La stanza dava su un frutteto e l'aria tiepida vi portò il profumo di mele mature.
«Sembri stanco, dolcezza,» disse Mrs Griffin. «Forse dovresti riposare almeno un po'.»
Di solito Harvey detestava dormire il pomeriggio, gli ricordava troppo le volte in cui aveva avuto l'influenza o il morbillo. Ma il cuscino sembrava freschissimo e confortevole, e, quando Mrs Griffin prese congedo, Harvey decise di coricarsi, solo per qualche minuto.
Ma, sia che fosse più stanco di quanto avesse pensato, sia per la calma e la comodità della Casa, Harvey scivolò nel sonno. Anzi, non fece neppure in tempo ad appoggiare la testa al cuscino, che i suoi occhi si chiusero e non si riaprirono più fino alla mattina successiva.
Morte tra le stagioni
Il sole venne a ridestarlo poco dopo l'alba: un raggio bianco e diretto di luce si posò sulle sue palpebre. Harvey si alzò di scatto, chiedendosi in quale letto, in quale stanza, in quale casa si trovasse. Poi il ricordo del giorno precedente ritornò e Harvey comprese di aver dormito dal tardo pomeriggio al mattino presto. Il riposo lo aveva fortificato. Si sentiva pieno di energie e, con un urlo di piacere, saltò giù dal letto e si vestì.
La Casa era quella mattina ancor più invitante, e i fiori che Mrs Griffin aveva posato su ogni tavolo e sui davanzali erano una sinfonia di colori. La porta d'ingresso era aperta e, scivolando lungo la ringhiera lucente della scalinata, Harvey si precipitò fuori, nel porticato, per dare un'occhiata al mattino.
C'era ad attenderlo una sorpresa. Gli alberi che il pomeriggio precedente erano ricchi di foglie avevano disperso il loro rivestimento. Ogni ramo e ramoscello mostrava piccole gemme appena spuntate, quasi fosse il primo giorno di primavera.
«Un altro giorno, un altro dollaro,» sentenziò Wendell spuntando con il suo passo lento dall'angolo della Casa.
«Cosa significa?» chiese Harvey.
«E una cosa che mio padre continua a dire. "Un altro giorno, un altro dollaro". Fa il banchiere, il mio papà. Wendell Hamilton II. E io, io sono...»
«Wendell Hamilton III.»
«Come fai a saperlo?»
«Ho tirato a indovinare. Io sono Harvey.»
«Già lo so. Ti piacciono le case sugli alberi?»
«Non ne ho mai avuta una.»
Wendell allora indicò l'albero più alto. Sospesa tra i rami c'era una piattaforma di legno su cui si ergeva una casa rudimentale.
«Ci lavoro da tre settimane,» disse Wendell, «ma non riuscirò a finirla da solo. Che fai? Mi aiuti?»
«Certo. Ma prima devo andare a mangiare qualcosa.»
«Allora vai. Io sono qui in giro.»
Harvey rientrò in casa e trovò Mrs Griffin intenta a preparare una colazione principesca. Sul pavimento, un quartino di latte e un gatto dalla coda a punto interrogativo che lappava.
«Vudu?» chiese Harvey.
«Proprio lui,» rispose Mrs Griffin con tenerezza. «È quello dispettoso.»
Vudu alzò lo sguardo, quasi sapesse che si parlava di lui. Poi saltò sul tavolo e si mise a rovistare tra i piatti di frittelle e di cialde al burro alla ricerca di qualcos'altro da mangiare.
«Può fare quello che gli pare?» chiese Harvey osservando il gatto che annusava questo e quello. «Voglio dire: non c'è nessuno che lo controlla?»
«Ah, be', tutti noi abbiamo qualcuno che ci controlla dall'alto, non è vero?» rispose Mrs Griffin. «Che ci piaccia o no. Ma ora mangia. Ti aspettano ore meravigliose.»
Harvey non se lo fece ripetere due volte. Si tuffò nel suo secondo pasto alla Casa della Vacanze con appetito ancora maggiore rispetto al giorno precedente e poi uscì di casa, incontro al nuovo giorno.
E che giornata!
C'era un venticello tiepido che profumava dell'aroma fresco della natura che cresce; il cielo, perfetto, era pieno di uccelli in volo. Harvey si mise a bighellonare nell'erba, le mani in tasca, sentendosi il padrone del paesaggio. Arrivato vicino agli alberi, chiamò Wendell.
«Salgo?»
«Se sei tagliato per le altezze,» lo sfidò Wendell.
La scala a pioli cigolò sotto il suo peso, ma Harvey guadagnò la piattaforma senza una sola esitazione. Wendell ne rimase impressionato.
«Non male per un novellino,» disse. «C'erano due altri ragazzi qui che non riuscivano neanche ad arrivare a metà.»
«Dove sono andati?»
«Saranno tornati a casa, credo. I ragazzi vanno e vengono, non lo sai?»
Harvey scrutò oltre i rami su cui i germogli stavano aprendosi.
«Non si vede un granché, vero?» disse. «Voglio dire: non c'è traccia della città.»
«E chi se ne importa?» ribatté Wendell. «Là fuori c'è solo grigio dappertutto.»
«E invece qui c'è il sole,» riprese Harvey, osservando il muro di pietre nebbiose che divideva i territori della Casa dal mondo esterno. «Com'è possibile?»
La risposta di Wendell non fu diversa dalla precedente. «E chi se ne importa?» disse. «Io so che non me ne importa niente. Allora, ci mettiamo al lavoro o cosa?»
Trascorsero le due ore successive a lavorare alla casa sull'albero, scendendo e salendo una dozzina di volte per andare a rovistare nel legname ammucchiato di fianco al frutteto, alla ricerca di assi adatte per finire la costruzione. Prima di mezzogiorno i due non solo avevano trovato legna a sufficienza per sistemare il tetto, ma anche un amico ciascuno. A Harvey piacevano le barzellette e gli scherzi maligni di Wendell, e i suoi «chi se ne importa?» che riusciva a ficcare praticamente in ogni frase che pronunciava. E Wendell sembrava ugualmente contento di stare in compagnia di Harvey.
«Sei il primo ragazzo davvero divertente,» dichiarò Wendell.
«E Lulù?»
«E Lulù cosa?»
«Lei non è divertente?»
«Quando sono arrivato era a posto,» spiegò Wendell. «Sai, lei è qui da mesi, e allora mi ha mostrato tutti i posti. Ma negli ultimi giorni è diventata strana. La vedo certe volte che vaga come se fosse una sonnambula, con un'espressione vuota.»
«Probabilmente sta diventando matta,» affermò Harvey. «Il cervello le sta andando in pappa.»
«Perché, tu te ne intendi?» volle sapere Wendell con il viso che si illuminava di macabra delizia.
«Certo che me ne intendo,» mentì Harvey. «Mio padre fa il chirurgo.»
Wendell fu molto impressionato da questa scoperta e trascorse i minuti successivi ad ascoltare a bocca aperta quanto gli raccontava Harvey delle operazioni che aveva visto: crani trapanati e gambe amputate; piedi ricuciti al posto delle mani e un uomo con un foruncolo sul didietro che gli cresceva fino a diventare una testa parlante.
«Lo giuri?» esclamò Wendell.
«Lo giuro,» rispose Harvey.
«Mitico.»
Ma tutto questo parlare fece venire loro una gran fame e, seguendo il suggerimento di Wendell, scesero la scala a pioli e si diressero verso la Casa, per il pranzo.
«Cosa vuoi fare questo pomeriggio?» chiese Wendell a Harvey mentre si sedevano a tavola. «Farà un gran caldo. Fa sempre caldo il pomeriggio.»
«Non c'è un posto dove si può andare a nuotare?»
Wendell aggrottò le sopracciglia. «Be', sì...» rispose con aria dubbiosa. «C'è un lago dall'altra parte della Casa, ma non ti piacerà un granché.»
«Perché no?»
«L'acqua è così profonda che non se ne vede il fondo.»
«E pesci, ce ne sono?»
«Ah, certo.»
«Forse possiamo pescarne qualcuno. Mrs Griffin, poi, potrebbe cucinarceli.»
In quel momento Mrs Griffin, che si trovava vicino la cucina e stava riempiendo un piatto di cipolle tagliate ad anelli, emise un gridolino e lasciò cadere il piatto. Poi si voltò verso Harvey, con il viso che era divenuto terreo.
«No, tu non vuoi certo fare nulla del genere,» disse.
«Perché no?» ribatté Harvey. «Pensavo di poter fare quello che volevo.»
«Be', sì. Certo che puoi,» gli rispose Mrs Griffin. «Ma non vorrei che ti ammalassi. I pesci sono... velenosi, ecco.»
«Oh,» esclamò Harvey, «be', allora non li mangeremo, dopotutto.»
«Guarda che disastro,» mormorò Mrs Griffin, mettendosi a sfaccendare nel tentativo di nascondere la propria confusione. «Mi serve un grembiule nuovo."
Corse via per prenderne uno e lasciò Harvey e Wendell a scambiarsi sguardi perplessi.
«Devo assolutamente vedere quei pesci,» dichiarò Harvey.
Mentre parlava, Vudu, sempre curioso, saltò sul ripiano di fianco alla cucina e da lì, prima che i due ragazzi potessero far qualcosa per fermarlo, aveva già poggiato le zampe sul bordo di una delle pentole.
«Ehi, tu! Scendi da lì,» ordinò Harvey.
Ma il gatto non accettava di ricevere ordini. Si sporse oltre il bordo della pentola per annusarne il
contenuto, mentre la coda oscillava avanti e indietro. Il momento successivo accadde la catastrofe. La coda volteggiò troppo vicina a uno dei fornelli accesi e si incendiò. Vudu gnaulò e balzò sulla pentola su cui si stava sporgendo. Un'ondata di acqua bollente lo scalzò dal piano della cucina e lo scaraventò a terra ridotto a un batuffolo fumante. Annegato, ustionato o andato arrosto che fosse, il risultato non cambiò di molto: Vudu toccò terra che era già morto.
Il fracasso fece ritornare velocemente Mrs Griffin sui suoi passi.
«Penso che me ne andrò a mangiare fuori,» disse Wendell mentre l'anziana donna faceva la sua comparsa sulla porta. Agguantò un paio di salsicciotti e scomparve.
«Oh, mio Dio!» gemette Mrs Griffin non appena il suo sguardo si posò sul gatto morto. «Oh... stupida bestiola.»
«È stato un incidente,» mormorò Harvey, intristito da quanto era accaduto. «È salito sulla cucina...»
«Stupida bestiola, stupida bestiola,» era quanto Mrs Griffin riusciva a dire. Si accovacciò e guardò sconsolata il piccolo sacchetto di pelo bruciato. «Non farai più domande,» riuscì a sussurrare finalmente.
A vedere l'infelicità di Mrs Griffin, gli occhi di Harvey si riempirono di lacrime. Ma siccome detestava che qualcuno lo vedesse piangere, cercò d ricacciare indietro il pianto come meglio poté e:
«Posso aiutarla a seppellirlo?» chiese con la voce più maschia che riuscì a trovare.
Mrs Griffin si guardò intorno. «È molto carino da parte tua,» rispose a voce bassa. «Ma non c'è bisogno. Vai fuori a giocare.»
«Non vorrei lasciarla da sola,» dichiarò Harvey.
«Oh, ma guardati un po', bambino,» disse Mrs Griffin. «Ti scendono le lacrime lungo le guance.»
Harvey arrossì e si asciugò le lacrime con il dorso della mano.
«Non vergognarti di piangere,» lo consolò Mrs Griffin. «È una cosa bellissima. Vorrei anch'io riuscire a versare qualche lacrima.»
«Ma lei è triste,» disse Harvey. «Lo vedo bene.»
«Quel che provo non è solo tristezza,» chiarì Mrs Griffin, «anche se ciò non mi è di gran conforto. In realtà ho paura.»
«Cosa vuol dire "conforto"?» chiese Harvey.
«Qualcosa che addolcisce,» rispose Mrs Griffin, rialzandosi. «Qualcosa che guarisce il dolore nel tuo cuore.»
«E lei ne ha un po'?»
«No. Non ne ho, in nessun luogo,» rispose Mrs Griffin. Allungò il braccio e accarezzò la guancia di Harvey. «A parte, forse, in queste tue lacrime. Mi confortano.» Sospirò seguendone le tracce umide con le dita. «Le tue lacrime sono dolci, figliolo. E lo sei anche tu. Ma ora esci alla luce e divertiti. C'è il sole sugli scalini, e non vi rimarrà per sempre, credimi.»
«Ne è certa?»
«Ne sono certa.»
«Allora, ci vediamo più tardi,» salutò Harvey mentre usciva ad incontrare il pomeriggio.
I prigionieri
La temperatura si era alzata mentre Harvey era a pranzo. Una foschia causata dalla calura aleggiava sul prato (che era più che mai lussureggiante e ricco di fiori) e rendeva evanescenti gli alberi intorno alla Casa.
Si diresse verso gli alberi, chiamando Wendell ad alta voce. Nessuna risposta. Diede allora un'occhiata alle sue spalle, pensando di scorgere Wendell affacciato a una delle finestre. Ma le finestre non facevano altro che riflettere l'azzurro intatto del cielo. Harvey alzò lo sguardo. Non vi era neppure una nuvola.
Lo assalì un sospetto che presto si trasformò in certezza quando tornò con lo sguardo al boschetto velato di nebbia, e ai fiori che stava calpestando. Nell'ora che aveva trascorso al fresco della cucina la stagione era mutata. Nella Casa delle Vacanze di Mr Hood era giunta l'estate: un'estate magica tanto quanto la primavera che l'aveva preceduta.
Ecco perché il cielo era così impeccabilmente blu e gli uccelli cantavano tanto. I rami carichi di foglie non erano meno contenti, come i fiori nell'erba, le api che ronzavano di corolla in corolla approfittando della generosità del clima. Tutto era pieno di beatitudine.
La stagione non sarebbe durata a lungo, immaginò Harvey. Se la primavera era durata l'arco di un mattino, allora molto probabilmente quest'estate perfetta non sarebbe andata oltre il pomeriggio.
Meglio sfruttarla il più possibile, pensò, e corse in cerca di Wendell. Finalmente lo scoprì seduto all'ombra degli alberi con una pila di giornali a fumetti al fianco.
«Hai voglia di star qui a leggere?» chiese Wendell.
«Forse, più tardi,» rispose Harvey. «Prima voglio andare a vedere quel lago di cui mi parlavi. Vieni con me?»
«Che me ne importa? Te l'ho detto che non è divertente.»
«D'accordo, allora andrò per conto mio.»
«Non ci rimarrai a lungo,» predisse Wendell e tornò alle sue letture.
Sebbene Harvey avesse un'idea abbastanza precisa di dove si trovasse il lago, i cespugli da quella parte della Casa erano folti e pieni di spine, e gli ci vollero molti minuti per trovare un passaggio in quel groviglio. Prima di riuscire a intravedere il lago, si ritrovò con la schiena e la fronte impiastricciate di sudore e le braccia graffiate e sanguinanti dalle spine.
Come Wendell aveva previsto, il lago non meritava la visita. Era grande - tanto che la riva opposta si vedeva appena - ma cupo e triste e sia la superficie dell'acqua, sia le rocce scure delle rive erano coperte di una pellicola di schiuma verdastra. Legioni di mosche ronzavano dappertutto in cerca di qualcosa di marcio da mangiare, e Harvey immaginò che non dovessero incontrare particolari problemi per trovare di che banchettare. Quello era un luogo che apparteneva alle cose morte.
Stava per andarsene, quando, con la coda dell'occhio percepì un movimento nell'ombra. C'era qualcuno poco lontano da Harvey, lungo la riva, seminascosto dall'intrico del boschetto. Harvey fece qualche passo in direzione del lago e vide che si trattava di Lulù. Se ne stava appollaiata sulle rocce sdrucciolevoli proprio a strapiombo sull'acqua e guardava nell'oscuro fondale.
Harvey le rivolse la parola quasi sussurrando, per paura di spaventarla: «Sembra fredda.»
Lei lo guardò con il viso pieno di imbarazzo e poi, senza dire una parola, si voltò e fuggì tra i cespugli.
«Aspetta!», la richiamò Harvey, mettendosi a correre verso il lago.
Ma Lulù era già scomparsa, lasciando dietro di sé le foglie del boschetto che tremolavano. Harvey avrebbe potuto cercare di inseguirla, ma lo scoppiettare di alcune bolle sulla superficie dell'acqua, attrasse la sua attenzione verso il lago. E lì, sotto il rivestimento di schiuma, vide i pesci. Erano grandi più o meno quanto lui, le squame maculate e incrostate, gli occhi globulari rivolti in alto, verso la superficie, come gli occhi dei prigionieri di un pozzo umido.
Lo guardavano, Harvey ne era certo, e il loro scrutare lo fece rabbrividire. Erano affamati, si chiese, e pregavano il dio dei pesci che lui scivolasse sulle pietre e cadesse in acqua? Oppure speravano che fosse venuto con una canna da pesca e una lenza e che li tirasse fuori da quegli abissi e dalla loro esistenza miserabile?
Che razza di vita, pensò. Né sole a riscaldarli, né fiori da annusare, né giochi da giocare. Solo le acque profonde e scure in cui girare in tondo, in tondo, in tondo.
Quella contemplazione gli fece venire le vertigini, e temette che, se si fosse trattenuto ancora, avrebbe finito per perdere l'equilibrio e si sarebbe unito a loro. Sussultando con una sensazione di sollievo, Harvey voltò le spalle a quella vista e ritornò verso la luce del sole tanto rapidamente quanto i rovi glielo permisero.
Wendell era ancora seduto sotto l'albero. Sull'erba al suo fianco c'erano due bottiglie di limonata ghiacciata. Wendell ne lanciò una a Harvey che gli si avvicinava.
«Ebbene?» gli chiese.
«Avevi ragione,» ammise Harvey.
«Nessuno con le rotelle a posto andrebbe laggiù.»
«Ci ho visto Lulù.»
«Che ti dicevo?» gracchiò Wendell. «Nessuno con le rotelle a posto.»
«E quei pesci...»
«Mh, lo so,» disse Wendell, con una smorfia. «Brutti orchi, non è vero?»
«Perché Mr Hood ha dei pesci del genere? Voglio dire, tutto il resto è così bello. I prati, la Casa, il frutteto...»
«E chi se ne importa?»
«Io,» rispose Harvey. «Voglio sapere tutto ciò che c'è da sapere su questo posto.»
«Perché?»
«Per raccontarlo a mamma e a papà quando tornerò a casa.»
«A casa? E chi se ne importa?» ribatté Wendell. «Abbiamo tutto quel che ci serve in questo posto.»
«Però a me piacerebbe lo stesso sapere come funziona. C'è qualche specie di macchina che fa cambiare le stagioni?»
Wendell indicò il sole oltre i rami. «Quello ti sembra meccanico, forse?» chiese ironicamente. «Non fare lo stupido, Harvey. È tutto vero. È magico, ma è vero.»
«Tu pensi?»
«Fa troppo caldo per pensare,» rispose Wendell. «E ora siediti e taci.» Gettò un po' di giornalini verso Harvey. «Dacci un'occhiata e trovati un mostro per stasera.»
«Che cosa succede stasera?»
«È la sera di Halloween, ovviamente,» rispose Wendell. «Come ogni sera, d'altronde.»
Harvey si lasciò cadere di fianco a Wendell, aprì la sua bottiglia di limonata e si mise a sfogliare le riviste a fumetti e, mentre sfogliava e sorseggiava, pensò che forse Wendell aveva ragione, e che faceva davvero troppo caldo per pensare. In qualunque modo funzionasse quel posto, sembrava abbastanza reale. Il sole era caldo, la limonata era fredda, il cielo azzurro, l'erba verde. Che cos'altro gli importava sapere?
Poi, da qualche parte in mezzo a quelle fantasticherie, dovette addormentarsi, perché a un certo punto si riscosse all'improvviso e si accorse che la luce del sole non maculava più il terreno intorno a lui e che Wendell non leggeva più al suo fianco.
Cercò la limonata, ma la bottiglia era caduta e il profumo dolce aveva attratto centinaia di formiche che ora vi camminavano sopra e dentro morendo, a volte, annegate dalla loro stessa avidità.
Si alzò in piedi e percepì il primo alito di vento da mezzogiorno, mentre una foglia dai bordi accartocciati cadde lentamente ondeggiando ai suoi piedi.
«Autunno...» mormorò tra sé.
Fino ad allora, quando si trovava sotto i rami disseccati a guardare il vento che ne scrollava via le foglie, Harvey aveva pensato che l'autunno fosse la più triste delle stagioni. Significava che l'estate era finita e le notti sarebbero diventate sempre più lunghe e fredde. Ma in quel momento, mentre la pioggerella di foglie diventava un diluvio, e il picchiettio delle castagne e delle ghiande un rullo di tamburi, Harvey rise vedendo e sentendo che l'autunno arrivava. Prima che fosse uscito da sotto gli alberi, le foglie gli avevano riempito i capelli e le spalle e, a ogni passo di corsa, ne scalciava un mucchio.
Raggiunse il porticato mentre le prime nuvole che vedeva in tutto il pomeriggio scivolavano a oscurare il sole rendendo, con la loro ombra, quella Casa, che nella calura meridiana era sembrata un miraggio, improvvisamente enorme, un'apparizione minacciosa, oscura e solida.
«Sei reale,» mormorò Harvey mentre si fermava affannato sotto il porticato. «Lo sei, non è vero?»
Cominciò a ridere, sentendo che era ridicolo parlare a una Casa, ma il sorriso gli scomparve dalle labbra quando una voce, tanto bassa che Harvey poté pensare di non averla udita, gli disse:
«E tu che ne pensi, ragazzo?»
Harvey si guardò intorno alla ricerca di chi aveva parlato, ma non vide nessuno, né sulla soglia, né sotto il porticato e neppure sugli scalini diètro di sé.
«Chi ha parlato?»
Non vi fu alcuna risposta, e Harvey ne fu contento. Non era stata affatto una voce, si disse. Era stato piuttosto lo scricchiolio delle assi del porticato, oppure il fruscio delle foglie nell'erba. Ma fece il suo ingresso nella Casa con il cuore che batteva un po' più in fretta, mentre ricordava che le domande non erano le benvenute in quel luogo.
In fondo, si disse ancora una volta, che importanza poteva avere se quello era un luogo vero o un sogno? Sembrava reale, e ciò era quanto importava.
Soddisfatto di questa conclusione, Harvey percorse la Casa verso la cucina dove Mrs Griffin stava apparecchiando la tavola con tante cose buone.
Visto e non visto
«Ebbene?» chiese Wendell mentre mangiavano, «che cosa diventerai stasera?»
«Non lo so,» rispose Harvey. «Tu che cosa diventerai?»
«Un boia,» rispose a sua volta Wendell con un sorriso pieno di spaghetti. «Ho imparato a fare i nodi scorsoi, e ora mi manca soltanto qualcuno da impiccare.» Lanciò un'occhiata a Mrs Griffin. «È facile,» affermò. «Devi solo appenderli e - snap! - gli si rompe il collo!»
«È orribile!» esclamò Mrs Griffin. «Perché ai ragazzi piace tanto parlare di fantasmi, assassini e di impiccagioni?»
«Perché è eccitante,» rispose Wendell.
«Siete dei mostri,» replicò Mrs Griffin, accennando a un sorriso. «Ecco cosa siete. Mostri.»
«Harvey è un mostro,» fece Wendell. «L'ho visto che si affilava i denti.»
«È luna piena?» chiese Harvey imbrattandosi la bocca di ketchup e contorcendosi in una smorfia. «Spero di sì. Ho bisogno di sangue... sangue fresco.»
«Bene,» decise Wendell. «Tu potresti essere un vampiro. Io li impiccherò e tu gli succhierai il sangue.»
«Orribile,» esclamò Mrs Griffin. «Semplicemente orribile.»
Forse la Casa sentì che Harvey desiderava la luna piena poiché, quando i due ragazzi caracollarono al piano di sopra e guardarono fuori dalla finestra del pianerottolo, una luna bianca e grande come il sorriso di un morto si poteva intravedere tra i rami nudi degli alberi.
«Guarda!» gridò Harvey. «Si vede ogni cratere. È perfetta.»
«Oh, e questo è solo l'inizio,» promise Wendell e condusse Harvey verso una stanza ampia e ammuffita piena di abiti di tutte le fogge. Alcuni di essi pendevano da grucce e appendiabiti, altri erano ammucchiati in cesti, come i costumi degli attori. Altri ancora erano abbandonati in disordine, in fondo alla stanza, sul pavimento polveroso. E seminascosto, finché Wendell non sgombrò il campo, c'era uno spettacolo che fece sobbalzare Harvey: una parete ricoperta di maschere dal pavimento al soffitto.
«Da dove vengono?» chiese Harvey mentre si stupiva a quella vista.
«Le colleziona Mr Hood,» spiegò Wendell. «E gli abiti invece sono cose che si sono lasciate dietro i ragazzi venuti qui.»
Harvey non era interessato ai vestiti, erano le maschere che lo ipnotizzavano. Erano come i fiocchi di neve: non ce n'erano due uguali. Certe erano fatte di legno e di plastica, altre di paglia, tessuto e cartapesta. Alcune erano variopinte come pappagalli, altre pallide come pergamena. Ce n'erano di talmente grottesche che Harvey fu certo che solo un folle avrebbe potuto modellarle, altre invece erano così perfette da sembrare la maschera mortuaria di un angelo. C'erano maschere di pagliacci e di volpi, teschi decorati con denti veri e una che, al posto dei capelli, aveva fiamme scolpite.
«Prendi la tua preferita,» lo invitò Wendell. «Da qualche parte ce ne deve essere una da vampiro. Qualunque cosa volessi trovare qui dentro, presto o tardi l'ho sempre trovata.»
Harvey decise di riservarsi per ultimo il piacere di scegliere la maschera e si concentrò nella ricerca di qualcosa di simile a un vestito da pipistrello. Mentre scavava nelle pile di vestiti, si sorprese a pensare ai ragazzi che li avevano lasciati in quel luogo. Sebbene avesse sempre odiato le lezioni di storia, sapeva che alcune delle giacche, delle scarpe, delle camicie e delle cinture che gli passavano tra le mani erano fuori moda da moltissimi anni. Dov'erano i loro proprietari, adesso? Morti, pensò, o talmente vecchi da essere praticamente morti.
Il pensiero che quegli indumenti fossero appartenuti a persone ormai defunte gli diede un sottile brivido lungo la spina dorsale, che era proprio quello che ci voleva. In fondo quella era la sera di Halloween, e cosa sarebbe Halloween senza qualche brivido?
Dopo qualche minuto di ricerca, Harvey trovò un lungo mantello nero con un bavero che, sollevato, fu definito da Wendell come «molto vampiresco». Soddisfattissimo della sua scelta, Harvey tornò alla parete di maschere e i suoi occhi si concentrarono quasi immediatamente su una maschera che prima non aveva vista, e che aveva il pallore e le orbite incavate di un'anima appena rialzatasi dalla tomba. Harvey la staccò dal muro e la indossò. Gli stava a pennello.
«Come sto?» chiese voltandosi a guardare Wendell che, nel frattempo, aveva trovato una maschera da carnefice che gli stava altrettanto bene.
«Brutto come il peccato.»
«Benissimo.»
Quando uscirono di nuovo dalla Casa, c'era ad attenderli una famiglia di teste di zucca tremolanti allineate nel portico, e l'aria umida odorava di fumo di legna.
«Dove andiamo a giocare a "dolcetti o dispetti"?» volle sapere Harvey. «Fuori in strada?»
«No,» rispose Wendell, «non è Halloween fuori, nel mondo reale, ricordi? Andremo dietro la Casa.»
«Non è molto lontano,» notò Harvey, deluso.
«Lo è a quest'ora della sera,» rispose Wendell con un tono da brivido. «Questa Casa è piena di sorprese. Vedrai.»
Harvey guardò la Casa dai piccoli fori per gli occhi della sua maschera. Incombeva, enorme come una nuvola tempestosa, e la sua banderuola segnavento era tanto aguzza da trafiggere le stelle.
«Su, vieni,» lo esortò Wendell. «Abbiamo un lungo cammino da percorrere.»
Un lungo cammino? si chiese Harvey: ma quanto lungo può essere il cammino dal davanti al retro della Casa? Ma ancora una volta, Wendell aveva ragione: la Casa era piena di sorprese. Il tragitto - che nella luce del pomeriggio sarebbe durato non più di due minuti - divenne ben presto un'escursione che fece desiderare a Harvey di aver preso con sé una torcia e una mappa. Le foglie, sotto i suoi piedi, frusciavano come se fossero attraversate da serpenti. Gli alberi, che avevano fatto loro ombra durante il giorno, ora erano spaventosi nella loro nudità, scarni e affamati.
«Perché lo faccio?» si chiese Harvey mentre seguiva Wendell nelle tenebre. «Ho freddo e non mi sento bene.» (Avrebbe potuto aggiungere ho paura, ma preferì lasciare il pensiero inespresso.)
Mentre stava per proporre a Wendell di tornare indietro, Wendell indicò un punto sopra le loro teste e sibilò:
«Guarda!»
Harvey guardò. Proprio sopra di loro, una figura si muoveva silenziosa nel cielo, come se si fosse appena lanciata dal cornicione della Casa. La luna si era nascosta dietro il tetto e non gettava la sua luce sul volatile notturno, sicché Harvey poteva arguirne la forma soltanto dalla quantità di stelle che oscurava nel suo volo. Aveva ali ampie ma sfilacciate. Troppo sfilacciate per sostenerlo, pensò. Sembrava invece che arpionasse il buio nel suo incedere, quasi si aggrappasse all'aria.
Ma tutto quello che Harvey riuscì a vedere fu l'immagine di un attimo. Poi, l'oggetto volante scomparve.
«Che cos'era?» chiese in un sussurro.
Non ricevette risposta. Nel breve tempo in cui era rimasto a guardare in su, Wendell era scomparso.
«Wendell!» sussurrò Harvey. «Dove sei?»
Nessuna risposta. Solo il frusciare delle foglie e il gemito dei rami affamati.
«So cosa stai facendo,» disse Harvey alzando la voce. «Ma non mi spaventerai tanto facilmente. Mi senti?»
Questa volta una risposta ci fu, ma non sotto forma di parole, bensì di uno scricchiolio proveniente da qualche parte tra gli alberi.
"Sta salendo alla casa sull'albero," pensò Harvey e, deciso ad acciuffare Wendell e a fargli prendere a sua volta un bello spavento, seguì quel rumore.
Nonostante i rami fossero nudi, erano tanto intricati che impedivano quasi del tutto alla luce delle stelle di filtrare. Harvey si fece scivolare la maschera sotto il mento per vedere un po' meglio, senza tuttavia migliorare di molto la visibilità. Era quasi cieco e non aveva altro che i rumori dell'ascesa di Wendell a guidarlo. Sentiva sempre abbastanza distintamente lo scricchiolio, e avanzò un passo alla volta in quella direzione, le braccia avanti per afferrare la scala senza sbatterci contro.
A un tratto il rumore si fece tanto forte che Harvey fu certo di essere giunto ai piedi dell'albero. Guardò in su, cercando di intravedere qualche tratto del briccone, ma mentre alzava gli occhi, qualcosa gli sfregò il viso. Harvey cercò di afferrarla, ma la cosa era già andata via, almeno per il momento. Ma tornò di nuovo, sfregandogli la fronte nella direzione opposta. Cercò di nuovo di prenderla al volo ma solo al terzo tentativo riuscì a impadronirsene.
«Ti ho preso,» gridò.
Il suo grido di trionfo fu seguito da un colpo d'aria e dal rumore di qualcosa che si schiantava al suolo, non lontano da lui. Sobbalzò, ma si rifiutò di mollare la cosa che teneva stretta tra le mani.
«Wendell!» chiamò.
In luogo di una risposta, una fiamma divampò nell'oscurità alle sue spalle e un fuoco d'artificio esplose in una cascata di scintille verdi, trasformando il boschetto in una caverna cancrenosa.
A quella luce improvvisa, Harvey poté vedere che cosa teneva in mano e, vedendolo, gettò un grido atterrito che fece risvegliare e volar via i corvi dai loro nidi.
Non era una scala ciò che aveva sentito scricchiolare, ma una corda. Anzi, per la precisione non era una corda, ma un cappio. E in mano teneva ora la gamba di un uomo che pendeva appeso a quel cappio. La lasciò andare e indietreggiò barcollando, riuscendo a malapena a trattenere un secondo urlo non appena i suoi occhi si alzarono a incontrare quelli dell'impiccato. A giudicare dalla loro espressione, l'uomo doveva essere morto in modo orribile. La lingua penzolava fuori dalle labbra bavose, le sue vene erano tanto gonfie di sangue che la testa sembrava una zucca.
O era una zucca?
Un nuovo zampillo di scintille si sprigionò dai fuochi d'artificio, e Harvey vide le cose come stavano in verità. L'arto che aveva tenuto in mano era un gambale di calzoni impagliato; il corpo un impermeabile imbottito di stracci; la testa una maschera fatta indossare a una zucca, con la panna al posto della saliva e due uova al posto degli occhi.
«Wendell!» gridò Harvey voltando le spalle alla scena dell'esecuzione.
Wendell stava dalla parte opposta dei fuochi d'artificio, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio illuminato dalle scintille dei fuochi. Sembrava un piccolo demonio, fresco d'inferno. Lì a fianco, la scala caduta a terra rendeva il dramma ancora più credibile.
«Ti avevo avvertito,» esclamò Wendell tirandosi su la maschera. «Ti ho detto che sarei diventato un boia stasera.»
«Te la farò pagare!» gridò Harvey, con il cuore che ancora gli batteva nel petto troppo all'impazzata per permettergli di apprezzare il lato comico della faccenda. «Lo giuro... te la farò pagare!»
«Puoi provarci!» gracchiò Wendell. I fuochi d'artificio stavano esaurendosi; le ombre intorno ai due ragazzi si facevano sempre più fitte. «Allora, ne hai abbastanza di Halloween per stasera?» chiese.
A Harvey non piaceva molto ammettere la sua sconfitta, ma annuì cupamente, giurando a se stesso che quando si fosse preso la rivincita, sarebbe stata una rivincita coi fiocchi.
«Sorridi,» lo incitò Wendell mentre lo zampillo di scintille si spegneva. «Siamo nella Casa delle Vacanze.»
I fuochi erano praticamente finiti e, anche se Harvey era ancora in collera con Wendell (e con se stesso per essere stato un tale ingenuo), non poteva lasciarli spegnere senza aver fatto la pace.
«D'accordo,» disse infine, concedendosi un sorriso a denti stretti. «Ci saranno altre notti.»
«Sempre,» consentì Wendell. La parola gli piacque. «Ecco cos'è questo posto,» continuò mentre la luce scompariva del tutto. «È la Casa del Sempre.»
Un presente dal passato
Quando rientrarono nella Casa, trovarono ad attenderli la tradizionale Cena della Notte dei Falò.
«Sembra che tu sia stato alla guerra,» notò Mrs Griffin posando gli occhi su Harvey. «Wendell ha ricominciato con i suoi soliti scherzi?»
Harvey ammise di essere cascato in tutti gli scherzi di Wendell, ma che uno in particolare lo aveva impressionato.
«E quale?» chiese Wendell con un sogghigno soddisfatto di sé. «Far cadere la scala? È stato davvero un tocco molto intelligente, non è vero?»
«No, non la scala,» rispose Harvey.
«E allora, cosa?»
«La cosa nel cielo.»
«Ah, quella...»
«Che cos'era? Un aquilone?»
«Non era opera mia,» rispose Wendell.
«E allora cos'era?»
«Non lo so,» rispose Wendell, il cui sorriso scomparve. «Meglio non fare domande, eh?»
«Ma io voglio sapere,» insisté Harvey, rivolgendosi a Mrs Griffin. «Aveva le ali e penso che abbia spiccato il volo dal tetto.»
«Allora sarà stato un pipistrello,» dichiarò Mrs Griffin.
«No, era cento volte più grande di un pipistrello.» Harvey allargò le braccia. «Grandi ali nere.»
Mrs Griffin aggrottò le ciglia mentre Harvey parlava. «Te lo sei sognato,» gli disse.
«No, non l'ho sognato,» protestò Harvey.
«Perché non ti siedi a mangiare,» ribatté Mrs Griffin. «Se non era un pipistrello allora non era proprio nulla.»
«Ma anche Wendell l'ha visto. Non è vero Wendell?»
Si voltò verso l'amico che stava ravanando in un piatto fumante di tacchino e di salsa di mirtilli.
«Chi se ne importa?» rispose Wendell a bocca piena.
«Dille soltanto che l'hai visto.»
Wendell alzò le spalle. «Forse l'ho visto. Forse no. È la sera di Halloween. È normale che là fuori ci siano degli orchi.»
«Ma non veri,» esclamò Harvey. «Un conto è uno scherzo, ma se quella bestia era vera...»
Mentre parlava si rese conto che stava infrangendo la regola che aveva stabilito tra sé sotto il porticato: non aveva importanza se la cosa alata era reale o no. Quello era un luogo di illusioni. Non sarebbe stato più felice se avesse smesso di chiedersi che cosa era reale e che cosa no?
«Siediti e mangia,» ripeté Mrs Griffin.
Harvey scosse la testa. Gli era passato l'appetito. Era in collera, anche se non sapeva con chi. Forse con Wendell per le sue alzate di spalle; o forse con Mrs Griffin perché non gli credeva; o forse con se stesso perché aveva paura delle illusioni. Forse con tutti e tre.
«Vado in camera mia a cambiarmi,» disse, e lasciò la cucina.
Trovò Lulù che guardava fuori della finestra del pianerottolo. Il vento soffiava contro il vetro, e fece ricordare a Harvey la prima visita di Rictus. Ma stavolta non era pioggia ciò che le raffiche portavano, ma neve finissima.
«Sarà presto Natale,» disse Lulù.
«Davvero?»
«Ci saranno regali per tutti. Ce ne sono sempre. Dovresti chiedere qualcosa.»
«È quello che farai anche tu?»
Lulù scosse la testa. «No,» rispose. «Sono qui da tanto tempo che ho ormai ottenuto tutto quello che volevo. Vuoi vedere?»
Harvey assentì e fu condotto da Lulù nella sua stanza, in cima alle scale, che era immensa e piena dei suoi tesori.
Evidentemente aveva una passione per le scatole. Scatole piccole e ricoperte di pietre preziose; scatole grandi e istoriate. Una scatola con la sua collezione di bilie; una scatola da cui proveniva una musica tintinnante; una scatola in cui entravano altre cinquanta scatole più piccole.
Aveva anche molte famiglie di bambole, che sedevano con espressione assente in tante file lungo le pareti. Ma ancora più suggestiva era la casa da cui le bambole erano state esiliate. Si ergeva nel bel mezzo della stanza, alta almeno un metro e mezzo dalle fondamenta alla punta dei comignoli, perfetta in ogni dettaglio, ogni mattone, ogni tegola, ogni davanzale.
«Ecco dove tengo i miei amici,» disse Lulù e aprì la porta d'ingresso.
Due lucertole verde smeraldo uscirono a salutarla, correndole lungo le braccia fino alle spalle.
«Le altre sono dentro,» disse Lulù. «Dài un'occhiata.»
Harvey guardò attraverso le finestre e scoprì che tutte quelle perfette stanze erano occupate. C'erano lucertole adagiate sui letti, lucertole che sonnecchiavano in bagno, lucertole che si dondolavano dai lampadari. Harvey rise di quella bizzarria.
«Non sono divertenti?» chiese Lulù.
«Sono grandi!» esclamò Harvey.
«Puoi venir su a giocarci tutte le volte che vuoi.»
«Grazie.»
«Sono davvero molto amichevoli. Mordono soltanto quando sono affamate. Ecco...»
Ne prese una dalla sua spalla e la fece cadere nelle mani di Harvey. La lucertola si mise subito a correre fino ad appollaiarsi sulla testa di Harvey, per il gran divertimento di Lulù.
A lungo i due ragazzi godettero della reciproca compagnia e di quella delle lucertole, finché Harvey vide un'immagine di se stesso riflessa in una delle finestre della casa e si ricordò in quali condizioni era.
«Farò meglio ad andarmi a lavare,» disse a Lulù. «Ci vediamo più tardi.»
Lei gli sorrise e disse: «Mi piaci, Harvey Swick.»
La sua franchezza lo rese franco: «Anche tu mi piaci,» le rispose. Poi, con l'espressione che si incupiva, aggiunse: «Non vorrei ti capitasse qualcosa di male.»
Lulù sembrò perplessa.
«Ti ho vista al lago,» continuò Harvey.
«Davvero?» ribatté Lulù. «Non ricordo.»
«Be', in ogni modo, è profondo. Dovresti stare attenta. Potresti scivolare e cadere in acqua.»
«Starò attenta,» rispose lei mentre gli apriva la porta. «Ah, Harvey...»
«Sì?»
«Non dimenticarti di chiedere qualcosa per Natale.»
"Che cosa dovrei chiedere?" si domandava Harvey mentre si lavava il viso. Forse qualcosa di impossibile, giusto per vedere di quanta magia fosse in possesso la Casa. Una tigre bianca, forse. Oppure un dirigibile a grandezza naturale? Un biglietto per la luna?
La risposta gli venne dai meandri della memoria. Avrebbe chiesto un dono che aveva già ricevuto (e perduto) molto tempo prima. Un dono che suo padre gli aveva fatto e che Mr Hood, per quanto volesse compiacere il suo nuovo ospite, non sarebbe mai stato in grado di trarre dal passato e duplicare nel presente.
«L'arca,» mormorò.
Con il viso lavato e i graffi che aveva ricevuto dai rovi intorno al lago esibiti come ferite di guerra, Harvey si diresse di nuovo al piano di sotto, dove scoprì che la Casa si era sottoposta a una nuova, stupefacente metamorfosi. Un albero di Natale - tanto alto che la stella sulla cima toccava il soffitto - troneggiava nel corridoio irradiando i colori delle sue luci lampeggianti in ogni stanza. C'era nell'aria un profumo di cioccolata e il suono dei canti di Natale. Nel soggiorno, Mrs Griffin era seduta presso un fuoco imponente, con Cuscus in grembo a fare le fusa.
«Wendell è uscito,» disse a Harvey. «Ci sono una sciarpa e dei guanti per te vicino alla porta d'ingresso.»
Harvey uscì sul porticato. Il vento era gelido, ma stava spazzando via le nuvole di neve, permettendo di nuovo alle stelle di tornare a brillare su un tappeto perfettamente bianco.
Non proprio perfetto, in verità. Una fila di orme conducevano dalla Casa al luogo che Wendell aveva scelto per costruirvi un pupazzo di neve.
«Vieni fuori?» gridò a Harvey, con la voce chiara come il tintinnio delle campane nell'aria frizzante.
Harvey scosse la testa. Era tanto stanco che anche la neve gli sembrava comoda per dormirci su.
«Forse domani,» rispose. «Ci sarà anche domani, no?»
«Ovviamente,» strillò Wendell. «E la sera dopo e quella ancora dopo.»
Harvey tornò in Casa per ammirare l'albero di Natale. I rami erano addobbati con stelle filanti e ghirlande di popcorn, luci e ninnoli multicolori, soldatini nelle luccicanti uniformi argentee.
«C'è qualcosa per te sotto l'albero,» avvertì Mrs Griffin, in piedi sulla soglia del soggiorno. «Spero che sia quello che desideravi, dolcezza.»
Harvey si inginocchiò e prese dalla base dell'albero un pacco con su scritto il suo nome. Il cuore cominciò a battergli forte anche prima di aprirlo, perché dalla forma del pacco e dal rumore che faceva, Harvey aveva capito che il suo desiderio era stato esaudito. Strappò il nastro, ricordandosi di quanto erano più piccole le sue mani la prima volta che aveva ricevuto quel regalo. La carta fu strappata e cadde a terra e comparve, nuova e luccicante, un'arca di legno dipinto.
Era una copia perfetta di quella che gli aveva regalato suo padre. Lo stesso scafo giallo, la stessa prua arancione, lo stesso cassero con i buchi sul tetto per farci passare i colli delle giraffe. Gli stessi animali, a coppie, che se ne stavano al coperto nella chiglia, oppure facevano capolino dagli oblò: due cani, due elefanti, due cammelli, due colombe. E molte altre coppie. E, infine, lo stesso piccolo Noè con la barba bianca e quadrata e la grassa moglie, con il suo bel grembiule.
«Come faceva a saperlo?» mormorò tra sé Harvey.
Non avrebbe voluto rendere nota la sua domanda, e meno ancora avrebbe voluto ricevere una risposta, ma Mrs Griffin disse:
«Mr Hood conosce tutti i sogni che hai in testa.»
«Ma è perfetta,» esclamò Harvey al colmo della meraviglia. «Pensa: mio padre aveva finito l'azzurro mentre colorava gli elefanti e così uno di loro ha gli occhi azzurri e l'altro ce li ha verdi. Ed eccoli qua: esattamente identici!»
«Allora, ti piace?» chiese Mrs Griffin.
Harvey rispose di sì, anche se non era tutta la verità. Era fantastico riavere l'arca tra le mani, sapendo che quella vera era andata perduta; era come se il tempo fosse tornato indietro e lui fosse tornato piccolo.
Udì Wendell che si scuoteva la neve dalle scarpe e si sentì immediatamente imbarazzato per il fatto di avere in mano un regalo da bambini. Riavvolse l'arca nella carta e corse di sopra, pensando di tornare in seguito per mangiare ancora qualcosa.
Ma il letto gli parve troppo invitante per poterlo rifiutare e il suo stomaco, in fondo, era già abbastanza satollo, per cui tirò le tende lasciando fuori quella notte ventosa e adagiò la testa sul cuscino.
Da qualche lontano campanile proveniva ancora il suono delle campane natalizie che accompagnò dolcemente Harvey nel sonno. Sognò di essere sui gradini davanti casa sua mentre ne guardava, attraverso la porta aperta, il cuore caldo. Ma poi il vento lo prendeva e, facendolo volare via da quella soglia, lo affondava in un sonno senza sogni.
Acque affamate
Quel primo giorno nella Casa delle Vacanze, con tutte le sue stagioni e le sue meraviglie, stabilì il modello per le molte giornate che seguirono.
Al suo risveglio il mattino successivo, Harvey vide di nuovo il sole penetrare da uno spiraglio tra le tende. Stavolta, però, la luce formava come una pozza calda sul cuscino, vicino al suo viso. Harvey balzò in piedi con un urlo e un sorriso, e ora l'uno ora l'altro (e a volte entrambi) rimasero sulle sue labbra per tutta la giornata.
C'erano tantissime cose da fare. Lavorare alla casa sull'albero durante la mattinata primaverile, poi pranzare facendo progetti per il pomeriggio. La calura estiva contemplava giochi e ore di ozio - ora con Wendell, ora con Lulù - poi era la volta delle avventure alla luce della luna di settembre. E, quando il vento dell'inverno aveva spento le fiammelle dentro le teste di zucca di Halloween e coperto la terra di neve, c'era divertimento per tutti, fuori, all'aria frizzante, e un caldo benvenuto natalizio al ritorno a casa.
Fu una giornata di vera Vacanza, la terza bella quanto la seconda, la quarta come la terza, e ben presto Harvey cominciò a dimenticare che oltre il muro esisteva un mondo monotono e grigio in cui Febbraio, la grande bestia, dormiva il suo sonno ozioso.
L'unico ricordo della vita che si era lasciato alle spalle - a parte una seconda telefonata che fece ai genitori per rassicurarli che stava bene - era il regalo che aveva desiderato e ottenuto quel primo Natale: la sua arca. Aveva pensato molte volte di provare a metterla in acqua per vedere se galleggiava, ma fu soltanto il pomeriggio del settimo giorno che andò dietro la Casa per farlo.
Wendell si era comportato da vero goloso a pranzo e poi aveva dichiarato che faceva assolutamente troppo caldo per giocare, sicché Harvey si avventurò verso il lago da solo, con l'arca sottobraccio. Si aspettava - in realtà sperava - di incontrarci Lulù a fargli compagnia, ma quando arrivò al lago trovò le sponde deserte.
Gli bastò dare un'occhiata a quelle acque tenebrose perché gli passasse completamente la voglia di varare l'arca. Ma rinunciare avrebbe significato ammettere una cosa che non aveva intenzione di accettare, per cui si diresse risolutamente verso la riva, scelse una roccia da cui sporgersi che sembrava meno scivolosa delle altre e mise l'arca in acqua.
Vide con piacere che galleggiava bene. La fece navigare un po' avanti e indietro, poi la tirò fuori per vedere se imbarcava acqua. Lo scafo era a tenuta stagna, per cui Harvey la rimise tra le onde e la sospinse di nuovo al largo.
In quel mentre, intravide un pesce che risaliva dal fondo del lago, con la bocca spalancata, quasi volesse fare un solo boccone del piccolo vascello. Harvey si sporse allora per riprendere l'arca prima che venisse affondata o divorata, ma nella concitazione perse la presa sulla roccia melmosa e, con un grido, cadde in acqua.
Il lago era gelido e vorace. Si chiuse immediatamente sulla testa di Harvey che cominciò a dibattersi selvaggiamente, cercando di non pensare alle oscure profondità sotto di lui e allo stomaco capiente dei pesci che da quelle profondità provenivano. Volgendo lo sguardo verso la superficie, cominciò a nuotare.
Riusciva a vedere l'arca galleggiare sopra la sua testa, ma rovesciata dalla sua caduta. I passeggeri che trasportava stavano già annegando, ma Harvey non cercò di salvarli e, appena riuscì a riemergere, cercò affannosamente di riprendere a respirare e nuotò goffamente verso la riva. Non era molta la distanza da coprire e in meno di un minuto Harvey si arrampicava sulle rocce caracollando frettolosamente via dalla riva, mentre l'acqua sgorgava a fiotti dalle maniche, dai pantaloni e dalle scarpe. Solo quando i suoi piedi furono completamente fuori dall'acqua e nessun pesce famelico avrebbe potuto mordergli le dita, Harvey si lasciò cadere a terra.
Sebbene si fosse nel pieno dell'estate, e il sole ardesse da qualche parte sopra la sua testa, l'aria intorno al lago era fredda e Harvey cominciò ad avere i brividi. Prima di riguadagnare la strada verso il sole, però, cercò nel lago un qualche segno della sua arca. 11 punto in cui era affondata era individuato da una misera flotta di rottami, che presto avrebbero raggiunto il relitto dell'arca sul fondo del lago.
Del pesce che era sembrato tanto ansioso di divorarlo, non c'era più traccia. Probabilmente si era immerso nei fondali per cibarsi del serraglio affondato. Se così stavano le cose, Harvey sperò che gli andasse tutto per traverso.
Aveva perduto molti altri giocattoli prima di allora. Una bicicletta nuova di zecca - la cosa cui teneva più di ogni altra! - gli era stata rubata dal giardino di casa due compleanni prima. Ma questa perdita lo sconvolse molto di più. L'idea che il lago avesse ora qualcosa che era stato suo, era in qualche modo più sgradevole di quella di un ladro che scorrazzava con la sua bici. Un ladro era carne e sangue caldo; il lago no. La sua arca era andata a finire in un luogo da incubo, pieno di cose mostruose, e lui si sentiva come se una piccola parte di sé l'avesse accompagnata, giù nel buio.
Si allontanò dalla riva del lago senza più guardarsi indietro, ma il venticello che gli riscaldò il viso appena uscì dal boschetto e il canto degli uccelli che allietò le sue orecchie non riuscirono a togliergli dalla mente il pensiero che aveva cercato di ignorare quando era finito in acqua. Nonostante tutti i divertimenti che elargiva con tanta generosità, la Casa delle Vacanze era un luogo stregato e, per quanto avesse cercato di ignorare i suoi dubbi e di mettere a tacere le sue domande, ormai né gli uni, né le altre potevano più venir trascurati. Chiunque o qualunque cosa fosse lo stregone, Harvey non sarebbe stato soddisfatto finché non l'avesse visto in faccia e ne avesse conosciuta la natura.
Che cosa sogni?
Harvey non parlò con nessuno di quanto gli era accaduto al lago - neppure con Lulù - in parte perché si sentiva stupido a esserci caduto dentro, in parte perché, nei giorni che seguirono quell'episodio, la Casa si impegnò con tanta solerzia nel soddisfarlo che quasi dimenticò completamente l'incidente. Quella stessa sera, in effetti, Harvey trovò sotto l'albero di Natale il capo di un nastro colorato con il suo nome e, seguendolo lungo tutta la Casa, trovò ad attenderlo una bicicletta nuova - anche più sfolgorante di quella che aveva perduto due anni prima.
E questa fu solo la prima di una serie di belle sorprese che la Casa delle Vacanze gli fece in rapida successione. Una mattina, ad esempio, Wendell e Harvey si arrampicarono sulla loro casa sull'albero e scoprirono che tutti i rami intorno erano carichi di pappagalli e di scimmie. Un altro giorno nel bel mezzo della Cena della Notte dei Falò, Mrs Griffin li chiamò in soggiorno dove le fiamme del camino avevano preso la forma di draghi e cavalieri, ingaggiando una fiera tenzone dietro la grata. E nella calura di un pigro pomeriggio d'estate, Harvey fu svegliato da un coro di grida e trovò un gruppo di acrobati meccanici che si esibirono in una serie di perfette acrobazie sul prato.
La sorpresa più grande, comunque, cominciò con l'apparizione di uno degli strani fratelli di Rictus.
«Mi chiamo Twist,» si presentò una sera, comparendo dalla penombra in cima alle scale. Ogni muscolo del suo corpo era in perpetuo movimento. Tic, contorcimenti, scatti nervosi dovevano averlo consunto fino a ridurlo a poco più di un'ombra. Persino i suoi capelli, una massa di riccioli unti, sembravano soggiacere a qualche ritmo pazzo, e si torcevano sulla sua testa in una frenesia aggrovigliatoria.
«Fratello Rictus mi ha spedito a vedere come stai,» disse con un accento pieno di squisitezze.
«Sto benissimo,» rispose Harvey «Hai detto "fratello Rictus"?»
«Siamo della stessa nidiata, per così dire,» rispose Twist. «Spero che tu telefoni ai tuoi di tanto in tanto.»
«Sì,» rispose Harvey. «Li ho chiamati ieri.»
«E sentono la tua mancanza?»
«Non sembrerebbe.»
«E tu, senti la loro mancanza?»
Harvey si strinse nelle spalle. «No, a dire il vero.»
(Non era proprio vero, c'erano anche per lui i giorni della nostalgia di casa, ma sapeva anche che, se fosse tornato a casa, sarebbe stato rispedito a scuola il giorno dopo, e invece voleva rimanere nella Casa delle Vacanze un altro po'.)
«Allora stai sfruttando al massimo la tua permanenza qui?» chiese Twist, improvvisando qualche bizzarro passo di danza su e giù dalle scale.
«Sì, voglio proprio divertirmi,» rispose Harvey.
«E chi non lo vuole?» sorrise Twist. «Chi non lo vuole?» Scivolò verso Harvey e gli sussurrò: «E, a proposito di divertimento...»
«Cosa?» chiese Harvey.
«Non hai ancora reso a Wendell pan per focaccia per quello scherzetto che ti ha fatto.»
«No,» rispose Harvey.
«E perché diavolo no?»
«Non sono ancora riuscito a trovare come.»
«Se è per questo sono sicuro che noi due potremmo cucinare qualcosa per lui,» riprese Twist con aria maliziosa.
«Dev'essere qualcosa a cui non penserebbe mai,» disse Harvey.
«Questo non sarà difficile,» rifletté Twist. «Dimmi: qual è il tuo mostro preferito?»
Harvey non dovette pensarci su troppo. «Il vampiro,» rispose con un sogghigno. «Ho trovato questa maschera grandiosa...»
«Una maschera è un buon inizio,» notò Twist, «ma i vampiri devono venir fuori dalla nebbia...» Allargò le braccia torcendo le lunghe dita come fossero gli artigli di qualche bestia affamata di bulbi oculari. «Deve balzare afferrando la sua preda, poi rialzarsi e volare verso la luna. Mi sembra di vederlo qui davanti a me.»
«Sembra anche a me,» ammise Harvey. «Ma io non sono un pipistrello.»
«E allora?»
«E allora come farò a balzare?»
«Ah,» esclamò Twist, «ma abbiamo Mara che può occuparsi di questo problema per noi. Dopotutto, che cosa sarebbe Halloween senza una metamorfosi o due?» Consultò l'orologio a pendolo sul ballatoio. «Abbiamo ancora tempo per farcela stasera stessa. Vai giù e di' a Wendell che vi troverete fuori di casa. Io, intanto, vado a trovare Mara sul tetto. Ci troviamo là.»
«Non sono mai stato sul tetto.»
«C'è una porta sull'ultima rampa di scale. Vediamoci lì, allora, tra qualche minuto.»
«Devo mettermi la maschera, il mantello e tutto il resto?»
«Non ti servirà la maschera, stasera,» rispose Twist. «Fidati. Ma ora sbrigati. Il tempo stringe.»
Harvey impiegò solo un minuto o due per dire a Wendell di precederlo fuori. Wendell sospettò di certo qualcosa, e probabilmente avrebbe preparato un contrattacco di qualche specie, ma Harvey era sicuro che, insieme a Twist, avrebbero avuto degli assi nella manica che persino Wendell, per quanto fosse esperto di tattiche e di attacchi a sorpresa, non avrebbe potuto prevedere. Sistemata la prima parte del piano, Harvey si affrettò a salire le scale, trovò la porta di cui Twist gli aveva parlato e si arrampicò sul tetto.
L'altezza non lo aveva mai spaventato: anzi, gli piaceva stare sopra a tutto e guardare il mondo dall'alto in basso.
«Quassù,» lo chiamò Twist. Harvey si infilò nello stretto abbaino e uscì sul ripido tetto della Casa dove già lo attendevano i suoi due compagni di cospirazione.
«Sei saldo?» chiese Twist.
«Tutto a posto.»
«Come va col volo?» chiese una terza voce, mentre la sua padrona usciva fuori dalle ombre dei camini.
«Ti presento Mara,» disse Twist. «Un altro elemento della nostra piccola famiglia.»
Diversamente da Twist, che sembrava abbastanza leggero da volteggiare sui cornicioni se gliene fosse venuto il ghiribizzo, era come se Mara avesse il sangue di una lumaca. Harvey si aspettava quasi che le sue dita lasciassero sulle tegole su cui passava una scia argentea, o magari che dalla sua testa calva spuntassero due morbidi cornetti. Era straordinariamente grassa, e la carne le rimaneva a malapena attaccata alle ossa. Dove ci riusciva - per esempio intorno alla bocca e agli occhi, al collo e ai polsi - ricadeva in pieghe viscide. Allungò un braccio e diede una pacca a Harvey.
«Ho chiesto: "Come va col volo"?»
«Come va come?» ribatté Harvey, scrollandosi di dosso la mano di Mara.
«Ne hai fatto molto?»
«Ho volato in Florida, una volta.»
«Lei non intende "in aereo",» chiarì Twist.
«Ah...»
«Forse in sogno?» insisté Mara.
«Oh, sì. Sogno spesso di volare.»
«Bene,» riprese Mara, sogghignando soddisfatta. Non aveva un solo dente in bocca.
Harvey guardava disgustato quelle fauci vuote.
«Ti stai chiedendo che fine abbiano fatto, non è vero?» chiese Mara a Harvey. «Dài, su, ammettilo.»
Harvey alzò le spalle. «Sì, me lo sto chiedendo.»
«Li ha presi Carna, quel ladro bruto. Avevo dei bei denti. Bellissimi denti.»
«Chi è Carna?» volle sapere Harvey.
«Non ti impicciare,» rispose Twist, azzittendo Mara prima che questa potesse rispondere. «Vieni al punto, altrimenti Harvey arriverà tardi.»
Mara borbottò qualcosa tra le gengive poi, ad alta voce:
«Vieni qui, ragazzo,» e tese le braccia verso Harvey. Il suo tocco era gelido.
«Sensazione bizzarra, non è vero?» chiese Twist, mentre le dita di Mara fluttuavano sul suo viso, strofinandolo qua e là. «Ma non preoccuparti: sa quel che fa.»
«E cosa fa?»
«Ti trasforma.»
«In che cosa?»
«Devi dirglielo tu,» disse Twist. «Ma non durerà molto, per cui cerca di godertela. Su, dille che vuoi essere un vampiro.»
«Questo è come vorrei che Wendell mi vedesse,» puntualizzò Harvey.
«Un vampiro...» mormorò Mara, mentre le sue dita premevano con maggior forza sulla sua pelle.
«Già. Vorrei avere zanne da lupo, la gola rossa e la pelle bianca, come se fossi morto da mille anni.»
«Duemila!» esclamò Twist.
«Diecimila!» si entusiasmò Harvey, a cui il gioco cominciava a piacere. «E occhi da invasato che riescano a vedere al buio, orecchie appuntite come quelle dei pipistrelli...»
«Aspetta!» esclamò allora Mara. «Dammi il tempo di capire bene.»
Le sue dita lavoravano intensamente sul viso di Harvey, quasi fosse una massa di argilla da modellare. Il viso gli bruciava, e Harvey avrebbe voluto toccarselo, ma temeva di rovinare il lavoro di Mara.
«E ci vorrebbe anche del pelo,» osservò Twist. «Peli lunghi, lustri e neri, tutt'intorno al collo...»
Le mani di Mara gli avvinghiarono il collo, e Harvey sentì una pelliccia spuntare sotto i suoi polpastrelli.
«... E le ali!» esclamò Harvey. «Non dimenticare le ali!»
«Giammai!» rincarò Twist. «Allarga le braccia, ragazzo,» ordinò Mara. Harvey obbedì e l'essere fece scorrere le sue mani sulle braccia del ragazzo, sorridendo. «Va bene, va bene,» mormorò. Harvey si guardò. Con sua grande sorpresa si accorse che le dita gli si erano incurvate e le unghie erano diventate taglienti, mentre dalle sue braccia pendevano ali di pelle. Il vento le gonfiava con forza, minacciando di trascinare Harvey via dal tetto.
«Sai che questo è un gioco pericoloso, non è vero?» chiese Mara mentre faceva un passo indietro per ammirare il suo capolavoro. «Potresti romperti la testa o far morire di paura il tuo amico Wendell. O entrambe le cose.»
«Non cadrà, donna,» ribatté Twist. «Ha il bernoccolo per questo genere di cose, l'ho capito appena l'ho visto.» Scrutò Harvey con i suoi occhi strabici. «Non sarei sorpreso se tu fossi stato un vampiro in una tua vita precedente, ragazzo.»
«I vampiri non hanno vite precedenti,» ribatté Harvey, accorgendosi che era più difficile pronunciare le parole con la bocca piena di zanne. «Essi vivono in eterno.»
«Questo è giusto!» esclamò Twist. «Vivono per sempre! Vivono per sempre!»
«Bene, ho finito,» disse allora Mara. «Puoi andare, ragazzo.»
Il vento ricominciò a soffiare, e se Twist non lo avesse trattenuto, mentre si avvicinavano al bordo del tetto, Harvey sarebbe stato sicuramente portato via.
«Eccolo lì, il tuo amico,» sussurrò Twist indicando un punto in basso, immerso nell'ombra.
Sempre più sorpreso, Harvey scoprì che riusciva a vedere Wendell molto chiaramente, sebbene nel boschetto ai suoi piedi il buio fosse fittissimo. Riusciva anche a sentirlo: udiva ogni singolo respiro, ogni battito del suo cuore.
«È il tuo momento,» sussurrò Twist, poggiando la sua mano sulla schiena di Harvey.
«Cosa devo fare?» chiese Harvey. «Devo sbattere le ali o cosa?»
«Salta!» gli rispose Twist. «Il vento farà il resto. Il vento, o la gravita.»
E, con queste parole, spinse Harvey oltre il bordo, nel vuoto.
Cadendo in disgrazia
Il vento non era lì per sostenerlo. Harvey cadde come una tegola di ardesia staccatasi dal timpano del tetto, mentre un grido di puro terrore gli sfuggiva dalla gola. Vide Wendell che si voltava e scorse sul viso dell'amico uno sguardo di paura mortale. Poi il vento si alzò da non si sa dove, freddo e forte, e proprio mentre le sue gambe cominciavano ad accarezzare i cespugli, Harvey si sentì sollevare, sempre più su, verso il cielo.
Il suo grido divenne un urlo di guerra, il suo terrore, gioia. La luna era ora più grande di quanto non l'avesse mai vista, e la sua ampia faccia bianca, riempiva l'orizzonte di Harvey, come il viso di sua madre quando si chinava a dargli il bacio della buonanotte.
Con la differenza però che quella notte Harvey non aveva bisogno di dormire, né di una mamma che gli augurasse sogni d'oro. Era meglio di qualunque sogno: volare con il vento nelle ali, mentre il mondo laggiù rabbrividiva di paura alla sua ombra.
Cercò di nuovo Wendell con lo sguardo, e lo vide correre verso la Casa per mettersi al sicuro.
"No, non lo farai," pensò Harvey e, volgendo le sue ali quasi fossero vele di pelle, piombò di nuovo sulla sua preda. Uno strillo agghiacciante gli riempì le orecchie e per un istante pensò si trattasse del vento. Poi si rese conto che era la sua stessa gola che emetteva quel suono disumano, e lo strillo si tramutò in risata: una folle risata selvaggia.
«No, ti prego, no!» Wendell singhiozzava senza smettere di correre. «Qualcuno mi aiuti! Qualcuno mi aiuti!»
Harvey sapeva di aver già ottenuto la sua rivincita: Wendell era fuori di sé dal terrore. Ma era troppo divertente per fermarsi adesso. Gli piaceva sentire il vento sotto di sé e la luna fredda sulla schiena. Gli piaceva l'acutezza della sua vista e la forza degli artigli. Ma più di tutto, gli piaceva suscitare paura; lo sguardo atterrito sulla faccia rivolta verso l'alto di Wendell, e il suono del panico nel suo petto.
Il vento gli stava ora facendo perdere quota introducendolo nel boschetto e, quando atterrò, Wendell cadde in ginocchio implorando pietà.
«Non mi uccidere! Ti prego, ti prego, ti scongiuro, non mi uccidere!»
Harvey aveva ormai visto e sentito abbastanza. Aveva avuto la sua rivincita. Era tempo di mettere fine al gioco, prima che il divertimento perdesse il suo sapore.
Aprì la bocca per rivelarsi, ma Wendell, vedendo la gola rossa e le zanne da lupo, pensò che significasse morte certa e iniziò una nuova litania di suppliche. Ma stavolta non si limitò a implorare.
«Sono troppo grasso da mangiare,» piagnucolò. «Ma qua in giro c'è un altro ragazzo...»
Harvey ringhiò.
«C'è, te lo giuro!» esclamò Wendell. «E lui ha più carne di me!»
«Senti un po' il ragazzo,» ironizzò una voce dai cespugli. Harvey si guardò intorno. Era Twist, la cui forma ossuta era a malapena visibile tra i rami. «Ti ha già dato per morto, giovane Harvey.»
Wendell non aveva sentito nulla. Stava ancora magnificando la commestibilità dell'amico, mentre si tirava su la maglietta e si scuoteva la pancia adiposa per convincere il vampiro che era davvero immangiabile.
«Non puoi volermi mangiare,» singhiozzava. «Prendi Harvey, invece! Prendi Harvey!»
«Mordilo,» sussurrò Twist. «Dài, bevi un po' del suo sangue. Perché no? Il grasso non è buono, ma il sangue lo è. Il sangue è gustoso.» Twist si era lanciato in una piccola danza, battendo i piedi al ritmo del suo incitamento: «Non perdere il sapore, mangia carne a tutte l'ore!»
E, nel frattempo, Wendell piagnucolava, pieno di lacrime e di muco. «Non puoi volere me! Trova Harvey! Trova Harvey!»
E più Wendell piagnucolava, più l'invito di Twist acquistava senso alle orecchie di Harvey. In fondo chi era mai questo ridicolissimo Wendell? Era troppo ansioso di servire Harvey per cena al vampiro per poter essere chiamato amico. Era semplicemente un bocconcino prelibato. Qualunque vampiro degno di quel nome gli staccherebbe la testa a morsi dopo avergli dato una sola occhiata. Eppure...
«Che cosa aspetti,» volle sapere Twist. «Abbiamo fatto tutta questa fatica per fare di te un mostro...»
«Sì, ma è un gioco,» ribatté Harvey.
«Un gioco?» esclamò Twist. «No, ragazzo, È molto più di un gioco. È un insegnamento.»
Harvey non capì che cosa Twist volesse dire con quelle parole, ma non era neppure certo di volerlo sapere.
«Se non lo acchiappi adesso,» sibilò Twist, «finirai per perderlo.»
Era vero. Le lacrime di Wendell si stavano asciugando e il ragazzino guardava ora il suo aggressore con uno sguardo perplesso.
«Allora.... mi lasci... andare?» mormorò.
Harvey percepì la mano di Twist sulla sua schiena.
«Fallo!» lo esortò.
Harvey guardò il viso rigato di lacrime e le mani tremanti di Wendell. Se la situazione si fosse rovesciata, pensò, lui sarebbe stato davvero più coraggioso? La risposta, lo sapeva già, era no.
«Ora o mai più,» ripeté Twist.
«E allora, mai più,» rispose Harvey. «Mai più!»
La parola fuoriuscì dalla sua gola come un ruggito gutturale e Wendell scappò a gambe levate urlando con quanto fiato aveva in gola. Harvey non lo inseguì.
«Mi deludi, ragazzo,» mugugnò Twist. «Pensavo avessi l'istinto omicida.»
«Be', non ce l'ho,» rispose Harvey, che un po' si vergognava di se stesso. Anche se sapeva di aver fatto la cosa giusta, si sentiva un po' codardo.
«Tutta magia sprecata,» disse un'altra voce, e Mara comparve dai cespugli con le braccia piene di funghi enormi.
«Dove li hai trovati?» chiese Twist.
«Al solito posto,» rispose Mara. Lanciò a Harvey uno sguardo di disprezzo. «Penso che tu rivoglia il tuo vecchio corpo,» borbottò.
«Sì, grazie.»
«Dovremmo lasciarlo in questo stato,» sogghignò Twist. «Prima o poi si deciderebbe ad andare in giro a succhiare sangue.»
«Macché!» ribatté Mara. «Non è che ci sia tanta magia nel mondo, lo sai. Perché sprecarla con questo miserabile piccolo nessuno?»
Mara agitò distrattamente la mano in direzione di Harvey e il ragazzo sentì che il potere che aveva riempito le sue membra e trasformato i tratti del suo viso lo abbandonava. Era un sollievo, ovviamente, sentire che la magia si disfaceva, ma una piccola parte di lui si dispiacque di quella perdita. Fu questione di attimi e Harvey tornò a essere un ragazzo coi piedi per terra, debole e privo di ali.
Ora che l'incantesimo era svanito, Mara gli voltò le spalle e andò a perdersi ondeggiando nell'oscurità. Twist, invece, indugiò abbastanza per lanciare un'ultima frecciata a Harvey.
«Hai perso la tua grossa occasione, bamboccio,» gli disse. «Potevi essere uno dei grandi.»
«Era solo un trucco, ecco tutto,» ribatté Harvey, reprimendo la strana infelicità che sentiva. «Un trucco di Halloween. Non significava nulla.»
«Ci sono quelli che non sono d'accordo,» replicò con aria oscura Twist. «Ci sono quelli che sostengono che tutti i grandi potenti del mondo, in fondo al loro cuore, sono o succhiasangue o ruba-anime. E noi dobbiamo servirli. Tutti noi dobbiamo servirli. Servirli fino al giorno della nostra morte.»
Guardò Harvey con occhi duri per tutta la durata del suo piccolo, strano discorso, finché, con un agile balzo, si ritirò nell'ombra e scomparve.
Harvey ritrovò Wendell in cucina, con un salsicciotto in una mano e un biscotto nell'altra, che raccontava a Mrs Griffin quanto aveva visto. Lasciò cadere il cibo non appena vide Harvey entrare e gridò di sollievo.
«Sei vivo! Sei vivo!»
«Ma certo che sono vivo,» rispose Harvey. «Perché non dovrei esserlo?»
«C'è qualcosa là fuori. Una bestia terribile. Mi ha quasi mangiato. Ho pensato che, forse, poteva aver mangiato anche te.»
Harvey si guardò le mani e le gambe.
«No, neanche un morsino.»
«Sono contento!» esclamò Wendell. «Sono così contento! Tu sei il mio migliore amico per sempre!»
"Ero carne da vampiro fino a cinque minuti fa," pensò Harvey, ma non disse niente. Forse sarebbe venuto il momento in cui avrebbe potuto raccontare a Wendell della sua trasformazione, e della sua tentazione: ma non era quello. Così, si limitò a dichiarare:
«Ho fame.» Si sedette a tavola, a fianco del suo fidato amico banderuola, per mettere sotto i denti qualcosa di più dolce del sangue.
Ripensamenti
Né Lulù né Wendell si fecero vedere in giro il giorno seguente. Mrs Griffin disse che li aveva incontrati prima di colazione e che poi erano scomparsi, sicché Harvey fu libero di fare ciò che preferiva. Cercò di non ripensare a quello che era accaduto la sera precedente, ma non ci riuscì.
Brandelli di conversazione continuarono a tornargli in mente, e vi si arrovellò per tutta la giornata. Che cosa aveva voluto dire, per esempio, Twist quando aveva affermato che trasformarsi in un vampiro non era un gioco, ma un insegnamento? Che cosa aveva imparato saltando da un tetto e spaventando a morte Wendell?
E tutta quella storia sui ruba-anime e sul fatto che tutti devono servirli? Forse era di Mr Hood che Twist parlava; forse era lui il grande potente cui bisognava votarsi? Se Hood era da qualche parte nella Casa, perché nessuno - né Lulù, né Wendell, né lui stesso, Harvey - l'avevano mai incontrato? Harvey aveva interrogato i suoi amici riguardo a Hood, e da entrambi aveva ricevuto la stessa risposta: non ne avevano mai visto le tracce, né udito i sussurri né, tantomeno, le risa. Se Mr Hood era davvero da quelle parti, dove si nascondeva, e perché si nascondeva?
Molte domande, dunque, ma poche risposte.
E poi, come se questi misteri non fossero abbastanza, eccone un altro, nuovo, ad assillarlo. Nel tardo pomeriggio di quella stessa giornata, mentre oziava all'ombra nella casa sull'albero, udì un grido di esasperazione e, sbirciando tra le foglie, vide Wendell che attraversava il prato di corsa. Indossava un soprabito con il cappuccio e degli stivali, sebbene facesse un caldo canicolare, e saltabeccava da tutte le parti come un indemoniato.
Harvey chiamò ad alta voce, ma senza riuscire ad attirare l'attenzione dell'amico, sicché decise di scendere dalla casa sull'albero e si lanciò all'inseguimento di Wendell per tutto il circondario della Casa. Lo trovò nel frutteto, rosso in viso e madido di sudore.
«Che cosa c'è?» gli chiese Harvey.
«Non riesco a uscire!» gridò Wendell, schiacciando e facendo scricchiolare una mela mezzo marcia. «Voglio andarmene, Harvey, ma non c'è un'uscita.»
«Ma certo che c'è.»
«Sono ore che ci provo, e ti dico che la nebbia continua a rispedirmi qui.»
«Ehi, calmati!»
«Voglio tornare a casa, Harvey,» esclamò Wendell che ormai era vicino alle lacrime. «Quello che è successo la notte scorsa è stato troppo per me. Quella cosa voleva il mio sangue. Non so se mi credi...»
«Ti credo,» lo rassicurò Harvey. «Sinceramente, ti credo.»
«Davvero?»
«Certo.»
«Be', allora forse dovresti venirtene via anche tu, perché se me ne vado io, lui darà la caccia a te.»
«Questo non lo credo,» rispose Harvey.
«Mi sono ingannato riguardo a questo posto,» mormorò Wendell. «È pericoloso. Sì, certo, lo so anch'io che sembra tutto perfetto, ma...»
Harvey lo interruppe. «Forse dovresti abbassare la voce,» suggerì. «Dovremmo parlarne con calma e in privato.»
«E dove?» chiese Wendell con gli occhi sbarrati. «Tutto ci guarda e ci ascolta. Non te ne accorgi?»
«Perché dovrebbe farlo?»
«Non lo so,» sbottò Wendell. «Ma ieri sera ho pensato che se non me ne vado di qua, ci morirò. Forse sparirò un giorno o l'altro, o magari diventerò matto come Lulù.» Abbassò la voce fino a un sussurro. «Non siamo i primi, sai. Che cosa ne pensi di tutti quei vestiti di sopra? E i soprabiti, le scarpe, i cappelli? Sono appartenuti a ragazzi come noi.»
Harvey rabbrividì. Aveva davvero giocato a «dolcetti o dispetti» con i vestiti di un ragazzo assassinato?
«Voglio andarmene da qui,» ripeté Wendell con le lacrime che ormai gli scendevano libere sulle guance. «Ma non c'è l'uscita.»
«Se c'è un modo per entrare, deve essercene anche uno per uscire,» ragionò Harvey. «Andiamo dal muro.»
Detto questo, Harvey si incamminò, seguito da Wendell, verso la facciata principale della Casa e, da lì, giù, lungo il dolce declivio del prato. Il muro di nebbia sembrava assolutamente inoffensivo mentre gli si avvicinavano.
«Stai attento,» lo avvertì Wendell. «Hanno molti assi nella manica.»
Harvey rallentò il passo, aspettandosi che il muro si contraesse, o si tendesse verso di lui. Ma non accadde nulla. Con maggiore determinazione, allora, Harvey penetrò nella nebbia, sicuro di riemergere dall'altra parte. Ma, in un modo o nell'altro, si trovò a tornare indietro senza neppure rendersene conto e quando riemerse dalla nebbia la Casa era davanti a lui.
«Cosa è successo?» si chiese. Incuriosito, rientrò nella nebbia.
E di nuovo, dopo aver camminato in direzione opposta alla Casa, se la ritrovò davanti una volta uscito dalla nebbia. Riprovò e continuò a riprovare a lungo, ma c'era sempre questo incantesimo che lo giocava finché non si trovò nella stessa situazione di frustrato scoraggiamento in cui aveva trovato Wendell mezz'ora prima.
«E ora mi credi?» gli chiese Wendell.
«Sì.»
«Cosa facciamo?»
«Innanzitutto, acqua in bocca,» sussurrò Harvey. «Andiamo avanti come se niente fosse. Facciamo finta di aver rinunciato a partire. Intanto io darò un'occhiata in giro.»
Appena fu di ritorno nella Casa, Harvey diede inizio alle sue indagini. E cominciò andando in cerca di Lulù. La porta della sua camera da letto era chiusa. Harvey bussò, chiamò, ma non vi fu risposta. Allora provò ad aprire. La porta non era chiusa a chiave. «Lulù!» chiamò. «Sono Harvey.»
Lulù non era nella sua stanza, tuttavia Harvey fu felice di constatare, osservando il letto, che quella notte doveva aver dormito là e che doveva aver giocato con le sue lucertoline abbastanza di recente. Infatti la porta della casa delle bambole era aperta e gli animaletti erano sparsi dappertutto.
C'era però una cosa strana. Lo scroscio dell'acqua corrente attirò Harvey in bagno, dove trovò la vasca piena che straboccava e gli abiti di Lulù che giacevano sparsi nella pozza d'acqua formatasi sulle piastrelle del pavimento.
«Ha visto Lulù?» chiese a Mrs Griffin non appena fu ridisceso a pianterreno.
«Non nelle ultime ore,» rispose la donna. «Ma lei è una che sta sempre per conto suo.» Mrs Griffin lanciò un'occhiata severa a Harvey. «Io non mi preoccuperei troppo, se fossi in te, figliolo,» aggiunse. «Mr Hood non ama gli ospiti troppo curiosi.»
«Mi stavo solo chiedendo dove poteva essere,» ribatté Harvey.
Mrs Griffin aggrottò la fronte, mentre la lingua le batteva contro l'interno delle guance pallide, come se volesse parlare, ma non osasse farlo.
«E comunque,» riprese Harvey, con la deliberata intenzione di provocarla, «io non credo che Mr Hood esista.»
«Ehi, stai attento a come parli,» lo rimproverò Mrs Griffin mentre l'espressione e la voce le si rabbuiavano.
«Sono qui da... giorni e giorni,» continuò Harvey rendendosi improvvisamente conto che aveva perso il conto dei giorni che aveva trascorso alla Casa. «E non l'ho visto una sola volta. Dov'è?»
Mrs Griffin si avvicinò a Harvey con le braccia tese, e il ragazzo pensò per un momento che volesse picchiarlo. Ma invece lo prese per le spalle e lo scrollò vigorosamente.
«Ti prego, figliolo!» lo implorò. «Accontentati di ciò che sai. Tu sei qui per divertirti qualche tempo. E, figliolo, il tempo è così breve. Vola via. O, Signore, come vola!»
«Sono solo poche settimane,» si oppose Harvey. «Non ho intenzione di rimanere qui per sempre.» Ora era lui che la fissava: «Oppure sì?» le chiese.
«Basta!» esclamò Mrs Griffin.
«Lei pensa che io resterò qui per sempre, non è vero?» chiese, liberandosi dalla stretta. «Ma cos'è questo posto? È una specie di prigione?»
Lei scosse la testa.
«Non mi dica bugie,» riprese Harvey. «È da stupidi. Noi siamo chiusi qui, non è vero?»
Allora, sebbene tremasse di paura dalla testa ai piedi, Mrs Griffin osò fare un piccolo cenno di assenso con il capo.
«Tutti noi?» rincarò Harvey. La donna annuì di nuovo. «Anche lei?»
«Sì,» bisbigliò, «anch'io. E non c'è modo per andarsene. Credimi, se tu tentassi di andartene di nuovo, Carna ti verrebbe a prendere.»
«Carna...» mormorò Harvey, ricordando quel nome che aveva udito nella conversazione tra Twist e Mara.
«È qua sopra,» aggiunse Mrs Griffin. «Sul tetto. È lì che vivono tutti e quattro. Rictus, Mara, Carna...»
«E Twist.»
«Esatto.»
«Li ho conosciuti tutti meno Carna.»
«E prega di non conoscerlo mai,» commentò Mrs Griffin. «E ora stammi a sentire, Harvey. Ho visto molti ragazzi andare e venire da questa Casa. Alcuni erano sciocchi, altri egoisti, alcuni dolci, altri coraggiosi. Ma tu, tu sei una delle creature più intelligenti su cui abbia mai posato gli occhi. Voglio che tu tragga tutta la felicità possibile dalla tua permanenza qui. Sfrutta bene le tue ore, perché sono meno di quanto tu creda.»
Harvey era rimasto ad ascoltare pazientemente. Poi, quando la vecchia ebbe finito di parlare, insistette:
«Eppure io voglio ancora conoscere Mr Hood.»
«Mr Hood è morto,» esclamò allora Mrs Griffin, esasperata dalla sua insistenza.
«Morto? Lo giura?»
«Lo giuro,» rispose la vecchia. «Sulla tomba del mio povero Vudu, lo giuro: Mr Hood è morto. E ora non mi chiedere più nulla su di lui.»
Era la prima volta che Mrs Griffin quasi giungeva a dare un ordine a Harvey, e anche se il ragazzo avrebbe voluto insistere, decise di lasciar perdere. Anzi, si scusò per aver sollevato la questione, promise che non l'avrebbe rifatto e la lasciò alle sue pene segrete.
Cosa restituì il diluvio (e cosa si portò via)
«Ebbene?» chiese Wendell non appena Harvey entrò nella sua stanza. «Com'è la storia?»
Harvey alzò le spalle. «Va tutto bene,» disse. «Perché non ce la godiamo finché siamo in tempo?»
«Godercela?» chiese Wendell. «Come facciamo a godercela se siamo chiusi qui dentro?»
«Meglio qui che là fuori, nel mondo,» dichiarò Harvey. Wendell lo guardò sbalordito. «Non è forse vero?»
Mentre parlava afferrò la mano di Wendell e l'amico si accorse che, nel palmo della mano, Harvey teneva una pallina di carta e che cercava di passargliela.
«Perché non ti trovi un angolino tranquillo e non ti metti un po' a leggere?» disse, dando una rapida occhiata alle loro mani mentre parlava.
Wendell afferrò il concetto. Prese il biglietto appallottolato dalla mano di Harvey e disse:
«Mi sembra una buona idea.»
«Benissimo,» convenne Harvey. «Io intanto vado fuori a godermi il sole finché sono in tempo.»
E fu esattamente quello che fece. Aveva molte cose da pianificare prima di sera quando, così aveva scritto nel bigliettino che aveva passato a Wendell, si sarebbero riuniti per evadere. Di certo persino le forze che custodivano la Casa dovevano dormire di tanto in tanto (anche solo il fatto di far scorrere le stagioni ogni giorno doveva essere molto faticoso) e di tutte le ore buone per sgattaiolare via, mezzanotte sembrava senz'altro la più promettente.
Ma non si illudeva che sarebbe stato facile. Da decenni la Casa era la trappola che era (forse addirittura da secoli: chi poteva sapere quanti anni avesse il suo maleficio?) e persino a mezzanotte non sarebbe stata così ingenua da lasciare l'uscita spalancata. Avrebbero dovuto essere rapidi e intelligenti, sènza farsi prendere dal panico o dallo scoraggiamento una volta che fossero entrati nella nebbia. Il mondo reale doveva essere da qualche parte là fuori. Si trattava, semplicemente, di trovarlo.
Quando vide Wendell, per Halloween, capì che il suo biglietto era stato letto e ben compreso. Negli occhi dell'amico c'era uno sguardo che diceva: "Sono pronto. Sono nervoso, ma sono pronto."
Il resto della serata fu per loro come la messinscena di una strana commedia di cui loro erano gli interpreti e la Casa (o chiunque ne avesse il dominio) il pubblico. Si divertirono come ogni sera finché non annottò: uscirono a giocare a «dolcetti o dispetti» esibendo le risate più fragorose (sebbene entrambi rabbrividissero dentro ai loro panni presi in prestito), poi tornarono a fare onore alla cena e trascorsero quello che, nelle loro speranze, doveva essere l'ultimo Natale nella Casa. Aprirono i regali (un cane meccanico per Wendell, un set da prestigiatore per Harvey), diedero la buonanotte a Mrs Griffin (era un addio, non una semplice buonanotte, ma Harvey non osò rivelarglielo) e se ne andarono a letto.
La Casa cadde nel silenzio. La neve cessò di sospirare sul davanzale e il vento di gemere dal caminetto. Era, pensò Harvey, il silenzio più profondo che avesse mai percepito; un silenzio così profondo che riusciva ad ascoltare il battito del cuore nelle sue orecchie, mentre ogni fruscio del suo corpo contro le lenzuola risuonava come un rullo di tamburi.
Poco prima di mezzanotte, Harvey si alzò e si vestì, muovendosi lentamente e con molta cautela, cercando di non fare il minimo rumore. Poi uscì nel corridoio e - sgattaiolando come un ladro da ombra a ombra - scese velocemente le scale e uscì nella notte.
Non uscì dalla porta principale (era pesante e scricchiolava rumorosamente), ma da quella della cucina, e si trovò nel cortile laterale. Sebbene il vento fosse caduto, l'aria si era fatta ancora più fredda e la superficie della neve si era mutata in ghiaccio. Scricchiolò sotto il suo peso sebbene cercasse di camminare il più leggermente possibile. Ma cominciava a sperare che gli occhi e le orecchie della Casa fossero davvero chiusi a quell'ora della notte (altrimenti, perché non era già stato scoperto?), e che avrebbe potuto girare intorno alla Casa senza attirare l'attenzione.
Ma non era ancora arrivato all'angolo del muro che la sua dolce speranza fu distrutta da una voce che, dall'oscurità alle sue spalle lo chiamò per nome. Harvey si irrigidì, immobile, sperando nella protezione dell'oscurità. Ma la voce tornò a chiamare il nome del ragazzo, e lo ripeté a lungo. La voce non gli era nota. Non era di sicuro quella di Wendell, né quella di Mrs Griffin. Non era Twist, né Rictus e neanche Mara. Era una voce flebile, la voce di qualcuno che a malapena riusciva a formare le sillabe del suo nome.
«Harrr...vvvey...»
Poi, di colpo, la riconobbe, e il suo cuore - i cui battiti avevano subito una brusca accelerazione sin da quando era sgattaiolato fuori del letto - cominciò a rumoreggiare nelle sue orecchie tanto da sommergere quasi la vocina che lo richiamava.
«Lulù, sei tu?» mormorò Harvey.
«Sssì...» disse la voce.
«Dove sei?»
«Vicina...»
Harvey scrutò il boschetto, cercando di scorgerla, ma non riuscì a vedere altro che il riverbero delle stelle sulle foglie gelate.
«Vai via...?» disse Lulù, senza quasi riuscire a pronunciare le parole.
«Sì,» le rispose bisbigliando Harvey. «E tu dovresti venire con noi.»
Fece un passo verso di lei e, in quell'istante, un po' del riverbero che aveva attribuito alle foglie arretrò. Che cosa mai indossava per luccicare in quel modo?
«Non aver paura,» le disse Harvey.
«Non voglio che tu mi veda,» gli rispose Lulù.
«Cosa c'è di male?»
«Ti prego...» insisté lei, «stammi... lontano.»
Lulù arretrò ancora e sembrò quasi che, arretrando, perdesse l'equilibrio. E infatti cadde a terra, scuotendo tutti i cespugli intorno a lei. Harvey si fece avanti per aiutarla, ma Lulù si lasciò andare a un singhiozzo tale che il ragazzo ne restò pietrificato.
«Voglio solo aiutarti,» mormorò Harvey.
«Non puoi aiutarmi,» gemette lei, soffrendo a ogni parola che pronunciava. «È troppo tardi. Devi solo... andare... finché sei ancora in tempo. Io volevo soltanto... darti... qualcosa perché tu ti ricordi di me.»
Harvey vide che Lulù si muoveva nell'ombra, sporgendosi verso di lui.
«Non guardarmi,» gli intimò.
Harvey voltò la testa dall'altra parte.
«Ora chiudi gli occhi. E prometti che non li aprirai.»
Harvey, obbediente, chiuse gli occhi. «Prometto,» disse.
E la sentì che gli si avvicinava, respirando a fatica.
«Apri la mano,» disse Lulù.
La sua voce si era fatta più vicina. Harvey sapeva che, se avesse aperto gli occhi, si sarebbe trovato a faccia a faccia con lei, ma aveva fatto una promessa ed era deciso a mantenerla. Porse la mano e senti che uno, due, tre piccoli oggetti pesanti, freddi e umidi, gli cadevano nel palmo raccolto a coppa.
«Questo è quanto... sono riuscita... a trovare,» bisbigliò Lulù. «Mi... spiace...»
«Posso guardare?» chiese Harvey.
«Non ancora. Prima... lasciami andare... via.»
Harvey serrò le dita intorno ai doni di Lulù, cercando di capirne la natura al tatto. Che cos'erano? Frammenti di gelida roccia? No, sembravano lavorati, scolpiti, forse. Riusciva a percepire in uno delle scanalature, nell'altro una testa. E finalmente capì che cosa teneva in mano: tre sopravvissuti al naufragio della sua arca, strappati ai fondali del lago.
Ma quella risposta non lo confortò: al contrario. Rabbrividì collegando l'interrogativo che gli aveva posto il riverbero argenteo di Lulù con la comprensione di ciò che ella gli aveva donato. Si era tuffata fino a raggiungere il fondo del lago per recuperare quelle statuine, una discesa che era fuori della portata di ogni abitante della terraferma...
Non c'era da stupirsi, allora se aveva voluto ritirarsi nell'ombra, ordinandogli di non guardarla. Non era più umana. Stava trasformandosi - se non lo era addirittura già - in una sorella degli strani pesci dal sangue freddo e dalle squame argentee che vagavano in tondo in quelle acque buie.
«Oh, Lulù...» gemette, «come è successo?»
«Non perdere tempo con me,» mormorò Lulù, «ma vai, finché hai una possibilità di farlo.»
«Vorrei aiutarti,» insisté Harvey.
«Non puoi...» gli fu risposto, «... non puoi aiutarmi... Sono qui da troppo tempo... la mia vita è finita.»
«Ma non può essere vero,» protestò Harvey. «Abbiamo la stessa età.»
«Ma io sono qui da tanto tempo che non riesco neppure a ricordare.» La sua voce si faceva sempre più debole.
«Che cosa non riesci a ricordare?»
«Forse non voglio ricordare,» continuò Lulù. «Mi fa troppo male...» Ci fu un lungo singhiozzo soffocato. «Devi andartene...» riprese, «finché sei ancora in tempo.»
«Non ho paura.»
«E allora sei stupido. Perché, invece, dovresti averne.»
Harvey sentì le fronde che si muovevano mentre Lulù cominciava ad arretrare.
«Aspetta!» esclamò Harvey. Lei non rispose. «Lulù!»
Il rumore che Lulù provocava muovendosi aumentò di intensità, come se si stesse affannando a fuggire fuori dalla portata della vista di Harvey. Che infranse la sua promessa, aprì gli occhi e colse un baluginio della sua vecchia amica che lo sfuggiva: niente più di un'ombra tra altre ombre. Anche lui, allora, si mise a correre nella stessa direzione, senza sapere bene che cosa avrebbe detto o fatto se fosse riuscito a raggiungerla, ma consapevole che non si sarebbe mai perdonato se non avesse almeno tentato di aiutarla.
Forse, se l'avesse persuasa a venire via con lui, una delle ombre oscure della Casa, uno dei suoi perfidi incantesimi, sarebbero stati sconfitti. O, forse, lui avrebbe potuto trovarle un medico nel mondo di fuori che avrebbe potuto curarne le deformazioni. Qualunque cosa, insomma, piuttosto che abbandonarla al suo destino.
Le acque del lago erano ormai in vista, e brillavano fosche tra i rami del boschetto. Lulù aveva ormai raggiunto la riva, e per un istante, la debole luce delle stelle ne colse il profilo. Tutto quello che Harvey aveva temuto era vero, e c'era anche dell'altro. Una lunga pinna percorreva la sua schiena, incurvata e squamosa, mentre le gambe erano quasi fuse insieme. Le braccia erano diventate corte e tozze, le dita erano ora palmate.
Ma era il suo viso, che baluginò mentre lei si voltava a guardare Harvey che sopraggiungeva, ad avere subito la mutazione più mostruosa.
I capelli le erano caduti, il naso scomparso. La bocca, priva di labbra, era sovrastata da due occhi che non erano più quelli azzurri che Harvey ricordava, ma si erano trasformati in due globi argentei e mobili, senza palpebre né ciglia. Eppure, nonostante la loro mostruosità, su quegli occhi e quella bocca si manteneva un barlume di umanità: una tristezza angosciosa che Harvey si rese conto non avrebbe mai più abbandonato il suo cuore fosse vissuto anche mille anni.
«Mi sei stato amico,» mormorò Lulù mentre strisciava sulla riva. «Ti ringrazio per questo.»
E si tuffò in acqua.
Harvey si precipitò sulla riva del lago, ma ormai, quando vi giunse, anche l'increspatura che Lulù aveva provocato tuffandosi stava svanendo e le bollicine dissolvendosi. Rimase a guardare le acque gelide per un minuto, o forse più, sperando che lei lo vedesse e si portasse verso la superficie, ma Lulù se ne era andata dove lui non avrebbe potuto seguirla. La fine era giunta, o almeno così sembrava.
Stringendo nella mano i suoi doni quasi fossero talismani, Harvey si allontanò dal lago e tornò al prato dove aveva appuntamento con Wendell.
Il quarto volto delle tenebre
«Che ti è successo?» sussurrò Wendell quando Harvey giunse in fondo al prato. «Pensavo avessimo appuntamento per mezzanotte.»
«Qualcuno mi stava aspettando.»
Aveva pensato in un primo tempo di raccontare a Wendell gli ultimi avvenimenti, ma l'amico era già abbastanza nervoso senza che gli si descrivesse la fine di Lulù. Harvey fece scivolare i tre sopravvissuti dell'arca nella sua tasca e decise che avrebbe parlato dell'incontro con Lulù soltanto quando fossero riusciti ad andarsene sani e salvi da quel posto terribile.
C'era solo un ostacolo che li separava da quella loro aspirazione: il muro di nebbia. Anche in quel momento, come sempre, sembrava del tutto innocente. Ma era un'illusione, ovviamente, come molte altre cose nel regno di Mr Hood.
«Dobbiamo organizzarci bene per affrontarlo,» disse Harvey a Wendell. «Una volta nel muro perdiamo il senso dell'orientamento. Dobbiamo allora assicurarci di procedere in linea retta, e non permettere alla nebbia di farci girare in tondo.»
«E come facciamo?» chiese Wendell.
«Penso che uno di noi dovrebbe andare avanti e l'altro tenerlo per mano.»
«Io,» esclamò Wendell con forza, «io voglio andare per primo.»
«Come vuoi. Allora io volgerò le spalle alla Casa e ti guiderò. Chissà, forse il muro è così sottile che tu potresti semplicemente tirare me dall'altra parte.»
«Speriamo,» mormorò Wendell.
«Sei pronto?» chiese Harvey tendendo la mano.
Wendell la prese: «Quando vuoi.»
«Allora via: andiamocene via di qui.»
Wendell annuì ed entrò nella nebbia. Immediatamente Harvey sentì che la sua stretta si faceva più forte.
«Non... lasciarmi... la mano...» si raccomandò Wendell la cui voce sembrava già lontanissima, sebbene fosse a un solo passo di distanza.
«Devi solo continuare a camminare,» disse Harvey quando furono alla distanza di un braccio. «C'è segno di...»
Prima che potesse terminare la domanda, un rumore dalla Casa alle sue spalle gli chiuse le labbra. Si guardò indietro. La porta d'ingresso era aperta e una luce ardeva in anticamera, trasformando in una silhouette la figura che si stava precipitando nel portico. Era Mrs Griffin.
Ma il rumore che Harvey aveva sentito non proveniva dalle labbra della donna. Nessun essere umano poteva emettere un simile suono. Vide Mrs Griffin alzare gli occhi al cielo mentre usciva nel prato e, seguendo il suo sguardo, Harvey vide stagliarsi contro le stelle l'essere da cui proveniva il "suono.
Harvey già ne conosceva il nome, sebbene non l'avesse mai visto in faccia. Hood aveva quattro servitori, e Harvey ne aveva visti solo tre: Rictus, Twist e Mara. Ed ecco il quarto: Carna, il ruba-denti; Carna il divoratore; Carna, la bestia che Mrs Griffin sperava che Harvey non dovesse mai incontrare.
«Torna nella Casa, figliolo!» gridò Mrs Griffin mentre il battito di enormi ali riempiva l'aria. «Presto! Presto!»
Harvey cercò di trattenere il braccio di Wendell, chiamandolo ad alta voce, ma Wendell aveva sentito il profumo della libertà e non aveva intenzione di rinunciarvi.
«Che cosa aspetti?» gridò Mrs Griffin. «Vai via di là oppure ti staccherà la testa!»
Harvey diede un'occhiata alla bestia volante e capì che la donna non mentiva. Le fauci di Carna erano abbastanza grandi da inghiottirlo per metà con un solo morso. Ma non poteva lasciare Wendell nella nebbia. Avevano iniziato insieme quell'avventura e insieme l'avrebbero portata a termine, vivi o morti. Non aveva altra scelta che entrare anch'egli nella nebbia, sperando che Wendell nel frattempo fosse riuscito a intravedere qualcosa del mondo di là e potesse tirarlo con sé in strada.
Mentre faceva il primo passo, udì Mrs Griffin gridare qualcosa come «mostrare il cammino» che non capì; poi fu accecato dalla nebbia fredda e il suono della voce della donna divenne un sussurro indistinto.
Le strida di Carna non vennero attutite, invece. Penetravano le tenebre, lacerando i pensieri di Harvey come le sue zanne gli avrebbero lacerato le carni se fossero riuscite a ghermirlo.
«Wendell!» gridò Harvey. «Viene per divorarci!»
Riuscì a intravedere una figura davanti a sé, poi vide il viso di Wendell come imbrattato dalla nebbia, che si voltava per gridargli:
«Non c'è un'uscita!»
«Deve esserci!»
«Non riesco a trovarla!» urlò Wendell la cui voce fu quasi sommersa dagli stridi di Carna.
Harvey guardò alle sue spalle la strada percorsa, temendo più di non sapere quanto vicino fosse il mostro che non di vederlo, per quanto la vista fosse terrificante. Un velo di nebbia gli aleggiò davanti agli occhi, ma Harvey riuscì lo stesso a vedere la forma di Carna che calava su di loro. Era il più mostruoso dei quattro fratelli. La sua pelle marcia si apriva a mostrare le ossa nude e cosparse di spine; la gola era un nido di lingue biforcute mentre nelle fauci trovavano posto centinaia di denti.
"È la fine," pensò Harvey. "Ho vissuto solo dieci anni e cinque mesi, e ora la mia testa sta per andare in pasto a un mostro."
Poi, con la coda dell'occhio, vide qualcosa di strano. Le braccia di Mrs Griffin che si tendevano nella nebbia e lasciavano cadere a terra Grisù.
«Ha un buon senso dell'orientamento!» la udì che esclamava. «Seguitelo! Seguitelo!»
Non ebbe bisogno di farselo ripetere: e neanche Grisù. L'animaletto, coda alzata, sfrecciò in avanti e Harvey diede uno scrollone al braccio di Wendell per spingerlo all'inseguimento. Il gatto era veloce, ma lo erano anche i due ragazzi. Gli occhi fissi sulla coda lucida non si distrassero neppure quando il battito di ali alle loro spalle annunciò che Carna era entrato nella nebbia e ormai era loro addosso.
Due balzi; tre balzi; quattro. E finalmente la nebbia sembrò diradarsi. Harvey udì Wendell urlare di gioia. «La strada! La vedo!» Un secondo dopo la vide anche Harvey: i marciapiedi bagnati di pioggia che riflettevano la luce dei lampioni.
Ora osò anche guardarsi indietro: a meno di un metro c'erano le fauci spalancate di Carna.
Lasciò andare la mano di Wendell e spinse l'amico verso la strada, mentre si rannicchiava nella corsa. La mandibola di Carna gli graffiò la schiena, ma l'animale si muoveva troppo velocemente per potersi controllare e, invece di frenare per artigliare la sua preda, continuò a volare in avanti, finendo nel mondo reale.
Wendell c'era già. Harvey si unì a lui un secondo più tardi.
«Ce l'abbiamo fatta!» gridò Wendell. «Ce l'abbiamo fatta!»
«Ce l'ha fatta anche Carna,» esclamò Harvey indicando il mostro che volteggiava nel cielo nuvoloso pronto ad avventarsi di nuovo.
«Ci vuole riportare indietro!» gridò Harvey.
«Mai!» urlò Wendell. «Mai! Non tornerò là dentro!»
Carna udì la sfida. I suoi occhi fiammeggianti si fissarono su Wendell e si gettò in picchiata con uno strido che riecheggiò nella strada deserta.
«Scappa!» urlò Harvey.
Ma lo sguardo di Carna aveva come pietrificato Wendell. Harvey lo abbracciò e stava per trascinarlo via a forza, quando udì lo strido di Carna cambiare di tono. Il trionfo diventava dubbio; il dubbio dolore. E improwisamentre la picchiata si trasformò in caduta, mentre nelle sue ali si aprivano squarci, quasi che un'orda di tarme invisibili ne stesse divorando la struttura.
Il mostro cercò disperatamente di innalzarsi di nuovo nell'aria, ma le ali, ferite, non poterono più obbedirgli, e un attimo dopo Carna piombò a terra con tanta violenza che si troncò di netto una dozzina di lingue, mentre almeno cento dei suoi denti si sparpagliavano ai piedi dei ragazzi. Ma la caduta non bastò a ucciderla. Sebbene agonizzante a causa delle molte ferite, facendo leva sui mozziconi puntuti delle ali, cercò di trascinarsi verso il muro. Anche in quelle condizioni miserabili, il mostro conservava la sua ferocia e, facendo scattare le fauci a destra e a manca, costrinse Harvey e Wendell a togliersi dalla sua strada.
«Non riesce a sopravvivere qui...» esclamò Wendell comprendendo che cosa era accaduto. «Sta morendo.»
Harvey avrebbe voluto avere un'arma con cui impedire all'animale di mettersi in salvo, ma dovette accontentarsi di contemplarne la sconfitta. Se non avesse desiderato tanto voracemente le loro carni, pensò, non li avrebbe inseguiti con tanta velocità e non avrebbe attirato su di sé tutta quella sofferenza e umiliazione. Era una lezione anche quella, e sperò di ricordarsela. Il male, per quanto potente possa sembrare, può essere sconfitto dalla sua stessa voracità.
Carna scomparve, lasciando dietro la sua ritirata una spessa cortina di nebbia.
Un solo segno rimaneva dei misteri che popolavano l'altro lato del muro: il musetto di Grisù che sbirciava quel mondo che lui, come tutti gli altri abitanti della Casa delle Vacanze, non avrebbe mai potuto esplorare. Il suo sguardo azzurrino incontrò per un istante quello di Harvey, poi si voltò di nuovo verso la sua prigione, quasi avesse udito i richiami di Mrs Griffin e, con un miagolio malinconico, scomparve.
«Che strano,» mormorò Wendell contemplando le strade bagnate. «È come se non fossi mai partito.»
«Davvero?» chiese Harvey. Lui, invece, non ne era tanto sicuro. Si sentiva diverso, segnato da quell'avventura.
«Mi chiedo se ci ricorderemo perfino di essere venuti fin qua tra una settimana.»
«Ah, io me lo ricorderò,» ribatté Harvey. «Ho preso qualche souvenir.»
Si mise la mano in tasca e vi cercò le statuine dell'arca. Ma mentre le tirava fuori le sentì disfarsi, come se il mondo reale le stesse distruggendo.
«Illusioni...» mormorò mentre si riducevano in polvere e gli scivolavano via tra le dita.
«Chi se ne importa?» esclamò Wendell. «È tempo di tornare a casa. E questa non è un'illusione.»
Ci fu un tempo
Ci volle un'ora buona ai ragazzi per raggiungere il centro della città e lì, dato che abitavano in due diversi quartieri, si divisero. Si scambiarono gli indirizzi, promettendo di mettersi in contatto dopo uno o due giorni, per appoggiare a vicenda con la loro testimonianza la descrizione della Casa. Sarebbe stato difficile far credere alla gente che cosa gli era accaduto, ma forse avrebbero avuto maggiori probabilità se due voci invece di una avessero raccontato la stessa storia.
«So quello che hai fatto per me laggiù,» disse Wendell mentre si separavano. «Mi hai salvato la vita.»
«Avresti fatto la stessa cosa anche tu per me,» replicò Harvey.
Wendell fece un'espressione dubbiosa. «Forse,» disse un po' demoralizzato. «Ma non sono mai stato troppo coraggioso.»
«Siamo evasi insieme,» lo confortò Harvey. «Non ce l'avrei fatta senza di te.»
«Davvero?»
«Davvero.»